La rivoluzione dal «basso» e la nuova vita del rione Sanità

di Antonio Loffredo
Mercoledì 20 Novembre 2019, 08:10
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C'è una storia che andrebbe raccontata sempre con maggiori particolari, indugiando nei pensieri e misurando le parole. È il racconto della mia vita nel Rione Sanità. L'inizio avvenne in modo casuale ormai 18 anni fa, quello che è accaduto dopo è divenuto per molti versi ed aspetti differenti un fatto pubblico.

Le parrocchie del Rione Sanità ed il meraviglioso corollario di chiese, case, giardini e catacombe circostanti hanno avuto la forza di determinare una crescita umana e sociale in un Rione da sempre frustrato dalla povertà educativa e dall'esclusione sociale. I dieci anni di gestione cooperativa delle Catacombe diventano oggi ancora di più motivo di affermazione della probabilità di un'altra possibilità di sviluppo.

Se è vero, come ricorda papa Francesco, che nel mondo cooperativo uno più uno non fa due ma tre e che, all'opposto, un fallimento, in cooperativa, è un mezzo fallimento, allora trovare un senso ed una direzione a quello che ho avuto la fortuna di contribuire a costruire con i giovani del mio quartiere è piuttosto facile.

Fermarsi a comprendere la magnifica «forza del contesto», come ricorda il presidente del Fai Carandini, è proprio il senso di questi giorni nel quartiere Sanità. Sabato 16 novembre, anniversario del Patto delle Catacombe, giorno di memoria per tanti che proprio in quel luogo e in quel giorno firmarono con Bettazzi, Zanotelli, Ciotti, Colmegna e tanti altri un Patto, quello di provare a vivere come il Signore Gesù: da poveri tra i poveri.

Proprio quella sera, partendo innanzitutto dalle radici, dai nostri nonni, dai nostri santi, abbiamo iniziato le celebrazioni del cinquantesimo anniversario dell'apertura delle Catacombe di San Gennaro alla Chiesa Locale e al mondo. Abbiamo riportato a casa, nell'altare del più antico oratorio delle Catacombe, le reliquie dei santi Gennaro ed Agrippino. Un segno di presenza, di compagnia. Lo stesso gesto che compì il compianto cardinale Ursi cinquant'anni fa. Reliquie, quelle, purtroppo andate perdute negli anni dell'incuria.

Una cerimonia solenne ma di una straordinaria semplicità condivisa da comunità parrocchiali di diversa provenienza, con molti sacerdoti intervenuti a fianco dei vescovi Lucio Lemmo e Armando Dini e tanta gente riunita a gustare la tenerezza e il calore di un ritorno “a casa” di due santi, di due amici, così significativi per la nostra terra.

Sant’Agrippino, il meno noto ai napoletani, è particolarmente venerato nelle parrocchie di Arzano e di Maria SS. delle Grazie al Purgatorio, presenti alla celebrazione. Agrippino fu il sesto vescovo della Chiesa di Napoli, visse tra II e III secolo e fu il primo patrono della città. Le fonti lo definiscono “defensor civitatis” e ricordano che Agrippino mise a disposizione la sua casa a Forcella per la comunità cristiana e per i poveri. Oggi una splendida chiesa a lui dedicata ricorda il luogo della sua casa gentilizia. La sua testimonianza di uso generativo – e non speculativo - di un bene immobile ben ci introduce al tema centrale del Convegno “Cultura e Sociale muovono il Sud”.

Siamo partiti dalla terra e dai “nonni” per ricordare da dove veniamo e, con lo sguardo dritto verso il futuro, continueremo una riflessione durante il convegno organizzato nei giorni 24, 25 e 26 novembre insieme ad oltre 100 realtà del terzo settore di tutto il Mezzogiorno. La Fondazione di Comunità San Gennaro e la Fondazione con il Sud, in collaborazione con Università degli Studi di Napoli “Federico II” e Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”, hanno organizzato questo convegno proprio come momento di riflessione.

L’Italia vanta un patrimonio storico artistico e paesaggistico dal valore inestimabile e di impossibile quantificazione. Numerosi sono i beni immobili e fondiari inutilizzati che, abbandonati o costretti ad una gestione lenta e farraginosa, finiscono per trasformarsi in un peso per l’Ente proprietario. La valorizzazione dal basso di tali beni ha permesso lo sviluppo di territori spesso abbandonati e la riscoperta di una corresponsabilità tra Stato, Chiesa e privati in virtù dell’esigenza di rispondere con prontezza ai bisogni della Comunità.

Sarà un momento importante per capire a che punto siamo giunti e quali saranno le prospettive di un mondo che ci appartiene come cristiani e che va considerato un pilastro irrinunciabile allo sviluppo del capitale umano meridionale.

Come i nostri avi, i nostri nonni, dobbiamo anche noi tenacemente continuare a scrivere parole di cielo su questa terra. Che i nostri patroni Agrippino e Gennaro sostengano la nostra perseveranza.
 
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