Tokyo 2020, il mental coach dei campioni olimpici: «Vi spiego come vincere la sfida più dura»

Tokyo 2020, il mental coach dei campioni olimpici: «Vi spiego come vincere la sfida più dura»
di Maria Pirro
Mercoledì 4 Agosto 2021, 22:07 - Ultimo agg. 5 Agosto, 16:55
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Professione: mental coach. Luca de Rose, napoletano di 36 anni, fa parte della squadra di psicologi impegnata nei Giochi olimpici di Tokyo. Con risultati straordinari: tre sue atlete sono andate a medaglia. «Ma la vera sfida emotiva è stata reggere un anno in più di preparazione: rinviare la competizione, dal 2020 al 2021, ha significato tanto, soprattutto negli sport di combattimento». 

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Resistere è la vera prova, anche nella vita di tutti i giorni? 
«Già mantenere il proprio peso per un anno, come è obbligatorio nel judo o nella boxe, comporta uno sforzo importante. Vuol dire avere equilibrio, disciplina: rinunciare, ad esempio, alla pizza in compagnia il sabato sera  o ai biscotti con il cioccolato in uno dei tanti pomeriggi trascorsi a casa durante il lockdown».

E le norme anti-Covid continuano a pesare, nonostante la ripresa. Difatti, gli atleti mostrano tutte le loro fragilità. Oggi più di ieri.
«Senza dubbio è tutto amplificato.

Incide anche la "bolla" prevista il giorno prima della competizione, che impedisce loro di incontrare anche l'allenatore. La solitudine pesa, e poi non bisogna dimenticare che a gareggiare quasi sempre sono ragazzi di 20, massimo 30 anni».

Che sfatano un tabù: andare dallo psicologo non è più qualcosa da non riferire.
«Non è più un segno di debolezza, ma il contrario. Affidarsi serve a diventare più forti. Anche Marcell Jacobs, oro nei cento, ha pubblicamente ringraziato la sua mental coach».

In che consiste il suo lavoro?
«Il mio metodo è pratico, si fa psicoterapia nello studio solo se l'atleta o il coach lo richiede. Altrimenti, prevedo esercizi di respirazione, training autogeno e visual training e la gestione delle emozioni. Rabbia, paura, tristezza e anche felicità possono ridurre la concentrazione».

Ma come si fa a gestire le emozioni...
«Bisogna innanzitutto accettare i diversi stati d'animo, convivere con la paura o il dolore, andare avanti lo stesso caricandoseli sulle spalle, e smettere di pensare che dimostrarsi freddi vuol dire essere invincibili. Anzi. La vera forza passa attraverso il fallimento, il coraggio attraverso la paura, la concentrazione attraverso la rabbia».

In concreto, come si capisce?
«Io prevedo un'ora di esercizi e 30-40 minuti per parlare delle sensazioni provate durante l'allenamento sia con gli atleti che con gli altri coach, ma a bordo di una pista o del ring, perché ogni volta anche io imparo qualcosa. Sul campo».

Cosa ha imparato ai Giochi di Tokyo?
«Ho compreso il vero spirito olimpico proprio dall'assenza del pubblico, quando allenatori e atleti delle squadre avversarie, di altri Paesi, gli unici presenti nello stadio a causa delle norme anti-Covid, hanno battuto le mani per Gianmarco Tamberi, riproponendo la sua routine prima del salto decisivo. Ho visto in quel gesto la passione condivisa tra sportivi, il senso di dedicarsi a qualcosa al di là delle prospettive personali».

Ha pianto anche lei?
«Per mezz'ora dopo ogni medaglia, e anche stamattina a telefono con un amico. Penso che solo tra 3-4 mesi smetterò di commuovermi».

L'emozione più forte?
«La cerimonia di apertura. Ho seguito la delegazione fino all'ingresso per la sfilata, cantando con tutto lo staff l'inno di Mameli: è stato bellissimo».

Tokyo 2020 segna anche la riscossa delle donne.
«Lo sport italiano è al femminile, anche se le donne oggi non sono ancora equiparate agli uomini, come professioniste, o almeno non lo saranno prima di fine anno, quando dovrebbe entrare in vigore la riforma Spadafora».

Per le donne è tutto più duro.
«Senza dubbio».

E per gli uomini?
«Confermare un titolo è più difficile, occorre mantenere viva la "fame di vittoria"».

Il caso della ginnasta Simone Arianne Biles lo dimostra. Ma come si diventa mental coach?
«È un lavoro che deve essere svolto da uno psicologo e psicoterapeuta, richiede una preparazione specifica: io ho iniziato abbinando la formazione universitaria alla passione per lo sport ereditata da mio padre, maestro di tennis. Quindi ho seguito una scuola di preparazione a Edimburgo, visto che non ce ne sono in Italia, e altri corsi con il Coni e alla Bocconi».

E ora insegna ad "allenare" il cervello.
«Una tecnica specifica consente di sviluppare i riflessi della vista, utilizzando diverse tabelle per potenziare l'occhio più debole e velocizzare i tempi di reazione. Ma, al di là di questo, bisogna costruire una mentalità vincente che non si può avere quando c'è un problema. L'allenamento per "non cadere" va fatto prima, non solo in caso di depressione».

Aumentano, invece, ansia e stress: prima del podio, nella vita quotidiana.
«Esercizi di respirazione in quattro tempi aiutano a sentirsi meglio. Un altro suggerimento è chiudere gli occhi e immaginare un posto tranquillo, il proprio rifugio lontano dalle preoccupazioni, dove sentirsi sicuri e protetti. E poi, scomporre i problemi».

Tutto ciò consente di superare i propri llimiti?
«Significa non guardare la cima della montagna, ossia il risultato e direttamente la vetta, ma concentrarsi su quello che c'è prima e seguire un percorso, andando ogni giorno un po' più avanti. Questa lezione è propria della pandemia, che ha costretto tutti noi, allenatori e atleti, a  "programmare sull'impossibile", ripartendo dalle piccole cose. Non avere aspettative ci permette di ridimensionare anche le paure. E po, i limiti ci delineano, rappresentano il confine di chi siamo».

Bisogna accettarli, come le emozioni.
«Sfiorarli, abbracciarli. Superarli, passo dopo passo. Ma non temerli».

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