Vesuvio, le vigne salvate dal fuoco

Vesuvio, le vigne salvate dal fuoco
di Luciano Pignataro
Lunedì 5 Febbraio 2018, 09:57
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Alla fine il fuoco si è fermato proprio all'ultima tappa della via Crucis che da Sant'Anastasia porta alla sorgente Olivella: quindici tappe che i fedeli percorrono anche se la burocrazia aveva messo una sbarra per rischio frane. Perché le fiamme della scorsa estate hanno preso il posto dell'ultima eruzione nella memoria di tutti. «Un incendio incredibile - racconta Ciro Giordano, presidente del Consorzio dei Vini del Vesuvio - appiccato su versante sud, quello che da al mare, ha scavallato il monte Somma minacciando i nostri vigneti». Un vero e proprio mostro medioevale, un dragone combattuto quasi a mani nude perché i mezzi ordinari dei vigili non potevano arrivare lungo questi sentieri che da quel che resta dei Regi Lagni porta a quota 600 metri. Sono stati usati i trattori dei viticoltori per trasportare le cisterne e cercare di contener le fiamme.
 

Un dragone astuto, terribile, che fingeva di essere domato per risvegliarsi improvvisamente grazie ad un soffio di vento arido e siccitoso e ripartire più forte lungo il versante Nord distruggendo tutto, favorito da boschi fuori da ogni controllo, come dimostrano le continue discariche a cielo aperto che spuntano qui e là puntuali. Le viscere del vulcano sono monitorate sin nei minimi dettagli, sappiamo che questo lungo silenzio iniziato nel 1994, data dell'ultima eruzione, prima o poi si interromperà anche perché è anomalo: dal 600 in poi il Vesuvio si è sempre risvegliato in interventi relativamente brevi. Le viscere sono monitorate dunque, ma la superficie è terra di nessuno, l'Ente Parco è praticamente senza mezzi e a Muntagna è abbandonata a se stessa.
 
Ecco perché quando il fuoco ha iniziato a minacciar ei vigneti sono scesi in trincea proprio i diretti interessati per salvare una vita di sacrifici e di lavoro. Un vigneto non riparte se non dopo alcuni anni e questi appezzamenti strappati alla montagna, in pendii incredibili, tra vecchie case coloniche e tracce di antiche masserie romane che ricordano un'attività agricola fiorente per molti secoli la cui massima espressione è quella su cui lavora l'equipe di giapponesi a Somma Vesuviana. «Abbiamo vissuto notti incredibili - prosegue Ciro Giordano - il fumo era entrato persino nelle nostre case e avevamo difficoltà a respirare».

Ma sono stati proprio gli appezzamenti coltivati e governati dal'uomo che hanno impedito alle fiamme di scendere ancora più a valle, sino a lambire i terreno. Già perché uva e pomodorini del piennolo sono le uniche carte anti-fuoco che il Vesuvio si può giocare in questo momento in cui lo Stato non è in grado di garantire né sicurezza e ne pulizia del sottobosco oltre che arrestare chi butta rifiuti e appicca incendi.

Sono sempre più numerose le aziende che hanno puntato sull'agricoltura negli ultimi anni con ottimi risultati. Sul versante sud Sorrentino, Cantine del Vesuvio, Fuocomuorto, Sannino, Villa Dora, sono anche esempi di accoglienza in un territorio che ha sempre ospitato grandi vinificatori che rifornivamo le mille taverne della grande città. Chi ha saputo coniugare cantina e campagna si è trovato avanti in un territorio unico al mondo. Sul versante nord la battaglia contro il fuoco è stata combattuta da Cantina Olivella, fondata nel 2004 da Andrea Cozzolino e Domenico Ceriello a cui si è poi aggiunto Ciro Giordano, oggi presidente del Consorzio del Vesuvio. Un lavoro di recupero della memoria che punta direttamente agli autentici vitigni del Vesuvio, il caprettone, il piedirosso e la catalanesca, l'uva portata dagli aragonesi. Il sistema vitivinicolo del territorio è andato in crisi quando è iniziata ad arrivare l'uva dalla Daunia e molti decisero di convertire le viti con alberi da frutto, soprattutto albicocche. Poi, piano piano, la viticoltura è ripartita, un puzzle di piccoli appezzamenti di una proprietà frazionata dagli assi ereditari il cui valore però è altissimo. E oggi le due culture che vanno più di di ogni altra cosa sono appunto la vite e il pomodorino del piennolo il cui Consorzio ha un nuovo presidente, Cristina Leardi.

Viaggiare su e giù per questi vigneti è incredibile e se la burocrazia fosse meno opprimente sicuramente il lavoro di chi ha scelto di coltivarli sarebbe agevolato. Le regole sono scritte sempre dai grandi per i grandi e le piccole realtà non vengono considerate. Eppure qui siamo in presenza di un territorio magico, con la possibilità di allevare la vite a piede franco, senza cioè il portainnesto americano che è stato introdotto dalla fine dell'800 in Europa per combattere la filossera, una terribile malattia della vite, che aveva praticamente messo in ginocchio tutti. In Campania, proprio grazie al suolo vulcanico, questo fenomeno è arrivato tardi e nelle zone sabbiose il terreno difende meglio la vite sicché si possono sentire i sapori delle uve proprio come li sentivano i nostri bisnonni prima della malattia. Una viticultura compatibile con l'ambiente, senza uso di chimica, certificata biologica. Ecco di cosa ha paura il dragone, di questi fortini che gli impediscono di avanzare e andare avanti. E più ce ne sono, più le fiamme di questa estate, rimaste ovviamente senza colpevoli, saranno un ricordo.
 
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