Napoli, viale Umberto Maddalena, la gigantografia di Liborio Romano presa d'assalto: «Via i camorristi dalla storia»

Napoli, viale Umberto Maddalena, la gigantografia di Liborio Romano presa d'assalto: «Via i camorristi dalla storia»
di Antonio Folle
Mercoledì 29 Giugno 2022, 18:03
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Da alcuni mesi a viale Umberto Maddalena, nei pressi dell'aeroporto di Napoli, è comparsa una gigantografia di Liborio Romano, uno dei personaggi più controversi della storia dell'Italia post-unitaria. Un mega-manifesto che non riporta simboli o pubblicità, ma che si limita ad "esporre" una foto dell'ex ministro degli Interni del Regno delle Due Sicilie prima e del governo dittatoriale garibaldino poi, con data di nascita e di morte. Da questa mattina sullo strano manifesto, affisso su una palina normalmente destinata alle pubblicità, i volontari del gruppo Nazione Napolitana Indipendente hanno affisso alcune scritte che ricordano ai napoletani il ruolo del politico di origine pugliese negli eventi che portarono alla fine del Regno delle Due Sicilie e all'allargamento geografico del già esistente regno di Sardegna-Piemonte spacciato per unità italiana. 

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"Il capo della polizia che fece il patto con la camorra" è solo uno degli striscioni che sono stati incollati da Nazione Napolitana Indipendente sull'immagine di Liborio Romano. E, in effetti, fu proprio grazie ai buoni uffici dell'allora ministro Romano che la camorra ed i camorristi furono "sdoganati" per la prima volta, passando da semplice masnada di criminali dediti al piccolo contrabbando, alla gestione della prostituzione ed al gioco d'azzardo a vero e proprio corpo di "Guardie Urbane", con il compito di mantenere una ferrea disciplina nella ormai ex capitale ed evitare colpi di mano dei "reazionari".

Colpa, quella di aver istituzionalizzato la criminalità, che lo stesso Liborio Romano avrebbe ammesso nelle memorie scritte nel 1867, pochi mesi prima di morire, giustificando la decisione di rivolgersi alla camorra "in virtù della sua organizzazione e del suo potere di controllo territoriale".

Il gesto dimostrativo di questa mattina è stato messo a segno da un gruppo di meridionalisti che già negli scorsi anni si è reso protagonista di alcuni "interventi" eclatanti in città. Basti pensare al "funerale della Stazione Bayard" o al cambio di toponomastica realizzato a piazza Cavour o al corso Umberto I, diventati - anche se solo per una notte - piazza Totò e Rettifilo. 

«Abbiamo realizzato questo intervento - spiega Ciro Borrelli di Nazione Napolitana Indipendente - per ristabilire la verità e per far sapere a quei napoletani che ancora non lo sanno chi era veramente Liborio Romano. La gente che passa può pensare che sia stato un attore, uno scrittore, un poeta o un musicista, ma tutti devono sapere che ci troviamo di fronte all'uomo che per primo ha messo il potere in mano alla camorra, creando uno stato di cose che va avanti ancora oggi e che distrugge la nostra terra. Come ministro dell'Interno fece un patto con la camorra per garantire a Garibaldi un accesso sicuro e tranquillo a Napoli - spiega Borrelli - dove c'erano ancora migliaia di soldati delle Due Sicilie nelle caserme e nei forti cittadini. Grazie a lui camorristi come Tore 'e Criscienzo ebbero carta bianca e i camorristi da delinquenti comuni si trasformarono in poliziotti che avevano potere di vita e di morte su tutti. I libri di storia - continua ancora il presidente di Nazione Napolitana Indipendente - non raccontano la verità, allora abbiamo deciso di farlo noi, sperando che questo ed altri personaggi come lui spariscano per sempre dalla nostra storia e dalla nostra toponomastica». 

E in effetti la "polizia privata" del ministro Romano non solo si rese responsabile di pestaggi e saccheggi, ma ebbe un ruolo fondamentale nella buona riuscita - per i piemontesi - del plebiscito dell'ottobre 1860 che sancì l'annessione di quelle che ormai venivano già definite "province napoletane" al neo-costituito regno d'Italia. I camorristi di Tore 'e Criscienzo, infatti, sorvegliarono accuratamente i seggi elettorali, garantendo la schiacciante maggioranza dei voti al "si" con minacce e fin anche con vere e proprie bastonate per i pochi coraggiosi - furono circa 10.000 in tutto il regno delle Due Sicilie - che votarono per il no all'annessione. 

Un personaggio, Liborio Romano, che conobbe una enorme popolarità negli anni immediatamente successivi alla fine del regno dei Borbone - grazie anche ai suoi buoni rapporti con Garibaldi, che lo confermò nella sua carica e gli diede carta bianca - ma che altrettanto rapidamente entrò in una parabola discendente quando al sud si accorsero che l'unità non sarebbe stata una unione federale di Stati, ma un semplice allargamento del Piemonte. Eletto al parlamento di Torino, Liborio Romano, specie dopo la morte di Cavour, uno dei suoi principali protettori, fu via via messo ai margini della vita politica nazionale, fino al ritiro nelle sue tenute pugliesi, dove si spense non senza rimpianti per una unità così male realizzata e alla quale lui aveva fornito un apporto fondamentale. 

Oggi dell'uomo che viene ricordato solo per essere stato uno dei responsabili dell'ascesa della criminalità organizzata a Napoli, restano poche tracce in città. Una via Liborio Romano esiste - e resiste - ancora oggi, nella zona del borgo Orefici. E non sono pochi quelli che chiedono il cambio di toponomastica e la cancellazione dalla storia della città di un personaggio tanto importante - in negativo - quanto scomodo. 

Una curiosità: poco prima di congedarsi dal suo Governo per ritirarsi insieme ai suoi soldati sulla linea del Volturno, mossa che lo stesso Liborio Romano aveva suggerito al re, convincendolo ad evitare un combattimento tra le strade della Capitale, il giovane Francesco II prese commiato con una frase tagliente e sibillina che dimostrava come il sovrano avesse da tempo scoperto il doppio gioco di uno dei suoi più importanti ministri e si preparava a "restituire il favore" dopo aver sconfitto i garibaldini: «Don Libò - il saluto di Francesco - guardateve 'o cuollo». 

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