Pina, addio a Posillipo per il rione Sanità: «Solo qui mi sento a casa»

Pina, addio a Posillipo per il rione Sanità: «Solo qui mi sento a casa»
di Maria Pirro
Lunedì 1 Luglio 2019, 07:30 - Ultimo agg. 11:41
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Ha i capelli rossi scompigliati, una collana di perle e tutte le unghie dipinte, le gambe gonfie leggermente divaricate. Forte, chiacchierona, serena, vera, sembra un personaggio di Jim Jarmusch, il regista visionario americano. Nel film della sua vita, siede davanti a un banco vuoto, ma i suoi occhi guardano oltre attraverso due fessure quasi impercettibili, colorate d'azzurro: fissano nella memoria i bimbi invisibili che ha visto crescere e andare via. Qualcuno è riuscito a trattenerlo, di tutti conserva un sorriso, un biglietto, un pensiero. O una faccia impressa nell'argilla.
 
«Questa bambina ha partecipato al laboratorio solo per qualche mese. Eppure, la scultura l'ha resa eterna», sussurra Pina Conte, 63 anni, la direttrice del centro diurno Cagnazzi, che odia le ingiustizie e vuole lasciare il segno. Per farlo, ha voltato le spalle ai luoghi della sua infanzia e adolescenza, così confortevoli, con vista mare. Da ragazza è fuggita da Posillipo per trasferirsi al rione Sanità, a meno di cento metri dall'istituto che oggi accoglie 200 iscritti e contiene i suoi ricordi, la sua storia senza più rimpianti.

A distanza di oltre 40 anni Pina forse si vergogna ancora delle sue origini, di quanto magari può pensare la gente e dice: «Quel mondo tanto diverso non mi appartiene. Solo qui mi sento a casa». Poi cita tanti piccoli gesti quotidiani che rendono speciale il suo quartiere d'adozione: «L'odore del ragù, il piatto di pasta portato dalla vicina alla porta accanto e, soprattutto, la dignità conservata anche nella fame nera». Ed è quasi ora di pranzo, quando Conte sfiora il braccio di uno dei tanti studenti che mangiano e dormono in cinque in una stanza, a volte senza padre, con genitori detenuti, figli di camorristi, immigrati, sbandati o semplicemente poverissimi. Ne parla mentre raggiunge l'artista Paolo La Motta seduto tra due fratellini. «Il terzo gemello è impegnato in un corso all'aperto. Ma anche lui, il nuovo Gemito, è un mio bambino», aggiunge orgogliosa, riportando indietro le lancette, perché La Motta ora è il professore. Un maestro operoso e all'opera: lavora assieme ai nuovi piccoli allievi, ne plasma il carattere e gli piace ritrarli, portandoli in giro, come soggetti e protagonisti, nelle gallerie di mezza Europa (la sua prossima esposizione è programmata in autunno a Parigi e un'altra, da definire, al museo di Capodimonte). Si rivede a 47 anni, da adulto, nei volti di dolcezza infinita.

Anche Martina Gatta, l'insegnante di danza ed espressione corporea, è un'ex alunna della struttura: in una caldissima giornata di luglio, a mezzogiorno, sorride e calca il palcoscenico del teatro all'aperto che ha ospitato, come spettatore, il maestro Roberto De Simone. «Siamo aperti d'estate, fino alle 14.30, grazie al progetto Oasi finanziato dal Comune di Napoli, e chiudiamo d'inverno più tardi, mai prima delle 18», riepiloga Pina, spiegando che al doposcuola sono associate negli altri mesi le attività di formazione della paritaria dell'infanzia e primaria Papa Giovanni XXIII. E un'altra ex iscritta che continua ad aggirarsi in queste stanze è Susy Gatto: suoi i bei pastori del presepe poggiati sul tavolo. «Ma lei non vuole più che la chiami bimba», rivela la 63enne dagli occhi chiari e dai capelli più che rossi, tra l'arancio e il fuoco. «Non è facile portarli da 35 anni, continuo a tingerli perché me l'ha chiesto, ispirata da un cartone animato, la nipotina». Verso la sua famiglia in senso stretto Pina ha un debito di riconoscenza: quarant'anni dopo la nascita della primogenita, riconosce di aver sottratto soprattutto alle sue figlie tempo e spazio. «Loro avevano di più: ho dato tutto a questo quartiere e a questa gente, perché non mi è sembrato giusto che dovessero avere di meno».

L'incipit dell'avventurosa esperienza risale, però, a un intreccio che tiene insieme pubblico e privato, agli anni Sessanta, quando Pina inizia a frequentare un ragazzino che frequenta il Diaz, istituto vicino alla sua scuola, ma abita in un basso lì vicino, a Materdei: Enzo diventerà suo marito nel 1979. Un anno prima del matrimonio, l'insegnante di pedagogia rinuncia al posto fisso. «Presento le dimissioni con il desiderio di fare qualcosa di più: il mio obiettivo è togliere i bambini e i ragazzi dalla strada. Quindi, rilevo il complesso Cagnazzi, allora una scuola parrocchiale». Stesso entusiasmo, ieri come adesso. Nel 2019, si contano appunto 200 minori. Più Enzo, che le dà una mano, e gli altri bimbi dai capelli sale e pepe.
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