27 gennaio, Napoli: luoghi, nomi e storie della Memoria

Le prime tracce della presenza ebraica a Napoli risalgono a più di duemila anni fa

In occasione della Giornata della Memoria vi proponiamo un viaggio attraverso gli eventi, i luoghi e le vite dei personaggi che hanno fatto la storia della presenza ebraica a Napoli
In occasione della Giornata della Memoria vi proponiamo un viaggio attraverso gli eventi, i luoghi e le vite dei personaggi che hanno fatto la storia della presenza ebraica a Napoli
di Aurora Alliegro
Venerdì 27 Gennaio 2023, 12:00 - Ultimo agg. 28 Gennaio, 08:27
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Le strade di Napoli raccontano celatamente una storia. Segni nascosti resistono all’incedere del tempo. Tracce invisibili richiamano l’eco di preghiere silenziose, presto inascoltate. Dolorosi destini si dissolvono nel tempo e nello spazio, sgretolandosi dinanzi a un «se soltanto…». Così, tra le antiche giudecche tra Portanova e San Marcellino, le lapidi funerarie del Vecchio Cimitero Ebraico e le pietre d’inciampo a Piazza Bovio riecheggia la storia plurisecolare del popolo errante.

Via Giudecca Vecchia, in zona Forcella, Napoli

È proprio questa la storia che ci accingiamo a raccontare. In occasione della Giornata della Memoria ripercorriamo insieme il vissuto della comunità ebraica a Napoli attraverso luoghi, nomi e storie che ne hanno costituito il perno.

Ed è dal sito che ancora oggi rimane il punto di riferimento degli ebrei napoletani, la sinagoga, che parte il nostro percorso all’insegna della memoria.

LA SINAGOGA DI NAPOLI

«Questa è la porta del Signore attraverso la quale passeranno i giusti». Con queste parole (riportate in ebraico) veniamo accolti all’interno della sinagoga. Situata in Via Santa Maria a Cappella Vecchia, al primo piano di Palazzo Sessa, la sinagoga di Napoli rappresenta una struttura storica per la Comunità Ebraica di Napoli e dell’intero Meridione. Di pianta rettangolare, la struttura, divisa a metà da una grande arcata, comprende tutti gli elementi caratteristici del luogo di culto ebraico. A partire dalla tevah centrale, la piattaforma leggermente sopraelevata da cui si conduce la lettura dei testi sacri e delle preghiere ebraiche.

La menorah, il candelabro a sette bracci, separa la tevah da un altro arredo di valenza fondamentale per la sinagoga, vale a dire l’aron haQodesh, detto anche “arca sacra”. All’interno dell’armadio sacro si conserva il Sefer Torah, i rotoli della legge. Si tratta di testi molto antichi, scritti a mano e dunque costantemente soggetti a controlli e interventi di correzione. In cima all’aron si trova la riproduzione di un libro che recita i dieci comandamenti mosaici. Infine, un arco sovrasta l’arca sacra proiettando sull’intera sala la suggestiva iscrizione ebraica «Sappi di fronte a chi stai in preghiera».

Circondano tevah e aron una serie di banchi, unitamente ad altri oggetti, simboli e iscrizioni tipici della tradizione ebraica. La sinagoga dispone inoltre di una libreria laterale che contiene i libri di preghiera e i testi sacri utili ai fedeli durante i riti religiosi. Ciò vale anche per la parte superiore della struttura, ossia il matroneo, l’area destinata alle donne nel corso della preghiera.

Nella sala di accesso al matroneo, invece, sono esposti una serie di antichi contratti nuziali (detti ketubà) appartenenti a membri della Comunità, nonché la chanukkiyah, ossia il candelabro a nove bracci destinato alla celebrazione della Hanukkah, la Festa dei Lumi. La struttura al cui interno si trova la sinagoga, inoltre, comprende anche sale per conferenze e concerti, la segreteria della Comunità, la casa del rabbino e altre sale in fase di ristrutturazione.

LA COMUNITÀ EBRAICA DI NAPOLI

Per natura etimologica, non c’è sinagoga (dal greco συναγωγή, «adunanza») senza comunità ebraica. La nozione di sinagoga, infatti, va oltre le barriere dello spazio fisico per inglobare elementi intangibili, tra cui spicca la dimensione di aggregazione della collettività, attraverso la quale si dispiega il senso ultimo dell’idea sinagogale, nata proprio come adunanza di fedeli sin dal periodo dell’esilio babilonese. 

La storia della sinagoga di Napoli non può dunque essere scissa da quella della comunità ebraica di riferimento. A questo proposito, Daniele Coppin, Consigliere della Comunità Ebraica di Napoli e dell’Italia meridionale, nonché Responsabile della comunicazione, ha raccontato ai nostri microfoni come la nascita della sinagoga – e il suo destino – sia intrecciata alla costituzione e agli sviluppi della comunità ebraica di Napoli, tant’è che entrambe sorsero nell’anno 1864. Di orientamento ortodosso, la sinagoga, inizialmente ashkenazita, cedette successivamente il passo al rito italiano e infine a quello sefardita in seguito all’incendio di Salonicco nel 1917, da cui giunsero numerosi profughi.

A fronte dei 30.000 ebrei presenti oggi in tutta Italia secondo l’UCEI (Unione delle Comunità Ebraiche Italiane), la Comunità ebraica di Napoli e del Sud Italia ha registrato circa 200 iscritti distribuiti su Napoli e l’intero Meridione. Si tratta di dati estremamente significativi, soprattutto se paragonati sinotticamente alla presenza ebraica in Italia nel 1938, poco prima dell’entrata in vigore delle leggi razziali, quando un censimento individuò 47.000 ebrei italiani e 10.000 ebrei di nazionalità straniera. Di questi, circa un migliaio risiedeva a Napoli.

LE ORIGINI E LA STORIA

Le prime tracce della presenza ebraica a Napoli risalgono a più di duemila anni fa. Attestati in Italia sin dall’età romana, si insediarono a Napoli a partire dal I secolo AEV. In particolare, ci sono pervenute delle lastre epigrafiche datate al IV e V secolo AEV, testimonianze dell’esistenza di un gruppo ebraico nei primi secoli. I reperti archeologici, provenienti da un’area cimiteriale nei pressi dell’attuale corso Malta, sono conservati presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

Negli anni successivi, l’alternanza di potenze conquistatrici a Napoli non scalfì la comunità ebraica, che coesistette e/o resistette tenacemente alle dominazioni, ivi compresa quella angioina, che fu caratterizzata da operazioni di conversione e persecuzione.

È tuttavia dalla Spagna che giunse la tempesta perfetta destinata a cancellare la presenza ebraica nel Mezzogiorno italiano. A partire dall’epurazione dei cristianos nuevos a Toledo (1449), l’Europa divenne teatro di arresti, espulsioni e conversioni forzate. In Spagna venne istituito il Consiglio dell’Inquisizione (1483), che, tramite l’operato dell’inquisitore generale Tomás de Torquemada, divenne strumento assoluto di lotta contro cripto-giudaismo ed ebraismo. Nel 1492, subito dopo il completamento della Reconquista, i sovrani cattolici Isabella di Castiglia e Ferdinando di Aragona decisero di coagulare il regno sacrificando la presenza ebraica. Un proclama impose la dipartita degli ebrei entro la fine di luglio dello stesso anno. La medesima sorte toccò agli ebrei residenti nel viceregno spagnolo di Napoli e di Sicilia. A partire dal 1510 e così fino all’età borbonica, gli ebrei furono forzati ad emigrare ed abbandonare il Sud Italia.

Un breve rientro (1740-47) sotto Carlo di Borbone, dovuto principalmente a ragioni di natura commerciale ed economica, fu prontamente stroncato dalle interferenze papali.

La reintegrazione pressoché definitiva della comunità israelitica nel Sud Italia avvenuta nel 1830 si spiega tramite la vicenda dell’ingente prestito che i banchieri Rothschild concessero ai Borbone. L’influenza della famiglia di origine ebraica fu determinante per la riammissione dei giudei a Napoli. Da quel momento, nella città partenopea giunsero ebrei provenienti da Roma, Toscana e Piemonte, ma anche dall’area transalpina, tra cui Inghilterra, Germania e Polonia. Carl e Adolf de Rothschild, padre e figlio, furono i principali fautori del rafforzamento della presenza ebraica a Napoli.

Secondo lo storico Arnaldo Momigliano, durante i fatti che condussero all’Unità d’Italia, gli ebrei confluirono nell’Italia unita al pari e contemporaneamente alle altre componenti e regioni del paese.

All’indomani della costituzione della Comunità Israelitica di Napoli (1864), numerosi personaggi di origine ebraica animarono la vita sociale, culturale e imprenditoriale napoletana. Vale la pena ricordarne quantomeno alcuni, tra cui Giorgio Ascarelli, fondatore dell’Associazione Sportiva Calcio Napoli e finanziatore del primo stadio partenopeo; Mario Recanati, promotore dell’arte cinematografica e artefice del primo cinema napoletano; e infine la famiglia Soria, che diede vita al primo negozio napoletano di dattiloscrittura e macchine da scrivere.

LE PERSECUZIONI RAZZIALI: NUMERI, STORIE E MEMORIA

A partire dall’introduzione delle leggi razziali nel 1938, la presenza ebraica a Napoli diminuì gradualmente. In Italia, durante le persecuzioni, 6.806 ebrei furono deportati in campi di sterminio (da cui tornarono in 837), 7.579 furono identificati e arrestati, mentre circa 6.000 riuscirono ad emigrare. Persero l’impiego circa 200 insegnanti, 400 dipendenti pubblici, 500 dipendenti privati, 150 militari e 2.500 professionisti. Furono costretti a lasciare gli studi 200 studenti universitari, 1.000 delle scuole secondarie e 4.400 delle elementari. Per effetto delle leggi razziali, gli ebrei napoletani di origine greca vennero espulsi dall’Italia e furono costretti a far ritorno in Grecia, in seguito deportati da Atene e da Salonicco. Non bisogna dimenticare, inoltre, che dal 1940 la Campania ospitò quattro campi di concentramento fascisti destinati a ebrei ed antifascisti, situati a Solofra, Monteforte Irpino, Campagna e Ariano Irpino.

Sebbene non siano stati operati rastrellamenti e deportazioni a Napoli, già liberata dall’occupazione tedesca tra il settembre e l’ottobre del 1943, 14 ebrei napoletani, fuggiti o sfollati verso il Centro e il Nord Italia, finirono tragicamente nei campi di concentramento. Alla fine del conflitto la comunità ebraica napoletana era praticamente dimezzata. Non rimanevano che 534 persone di origine ebraica.

Tra i 14 ebrei napoletani che trovarono la morte nei campi di sterminio, i membri della famiglia Procaccia, tra cui i piccoli Paolo Procaccia e Luciana Pacifici, scomparsi molto probabilmente durante il viaggio verso Auschwitz intorno al 30 gennaio 1944. Sempre a proposito di memoria, in momenti diversi, il Comune di Napoli, oltre a installare nove pietre d’inciampo a Piazza Bovio, ha altresì dedicato a una delle vittime l’intitolazione di una strada.

Nel 2015, al settantasettesimo anniversario della promulgazione delle leggi antiebraiche, la stradina situata in zona Borgo Orefici precedentemente intitolata a Gaetano Azzariti (presidente del tribunale della Razza dal 1939 al 1943) è stata dedicata simbolicamente alla più piccola dei deportati napoletani, Luciana Pacifici, che aveva meno di un anno al tempo della deportazione. Con lo scopo di commemorare la vittima dei lager, il 27 gennaio 2023 alle ore 10 il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi deporrà una corona di fiori nella strada a lei dedicata

LA TRAGICA STORIA DI SERGIO DE SIMONE

Tra coloro a cui la vita venne brutalmente strappata c’è il giovanissimo bambino napoletano Sergio De Simone. Quando aveva ancora 7 anni, Sergio, denunciato alle autorità tedesche insieme alla sua famiglia, venne deportato da Fiume. Giunto nel campo di Aushwitz, fu selezionato dal dottor Joseph Mengele tra i venti bambini ebrei destinati agli esperimenti del medico Kurt Heissmeyer. Allo stesso tragico destino riuscirono a sottrarsi le due cugine più piccole di Sergio, Andra e Tatiana Bucci (superstiti e testimoni attive della Shoah). I bambini, trasferiti ad Amburgo presso il campo di concentramento di Neuengamme, funsero da cavie umane per le sperimentazioni pseudo-scientifiche sulla tubercolosi di Heissmeyer.

Le piccole vittime subirono iniezioni di bacilli tubercolari a più riprese, l’asportazione dei linfonodi e infine, appurato il fallimento dell’esperimento, l’eccidio e la cremazione. Gli eventi, portati a galla dal giornalista Jürgen von Kornatzky, condussero all’arresto di Heissmeyer nel 1963 e alla condanna all’ergastolo nel 1966, più di venti anni dopo i fatti di Neuengamme.

IL DOVERE DI CONOSCERE, IL COMPITO DI RICORDARE

Cosa resta oggi di questa storia plurimillenaria? In una città in cui le tracce di questo vissuto non mancano, sono vivi anche i tentativi di commemorare questa storia attraverso il ricordo e il racconto.

La Comunità Ebraica di Napoli, punto di riferimento delle comunità ebraiche dell’intero Meridione, aderisce a numerose iniziative organizzate da scuole, associazioni e istituzioni per la Giornata della Memoria. Tra queste, la giornata di studio e commemorazione “Arte e Shoah. Rappresentare l’indicibile”, organizzata dal Centro Interuniversitario di Ricerca Bioetica e dal Seminario Permanente Etica Bioetica Cittadinanza della Federico II.

Nel frattempo, sembra che almeno a Napoli, tolto qualche evento episodico, il fantasma dell’antisemitismo non sia riapparso a tormentare le sue vittime. Come spiega Daniele Coppin, «l’antisemitismo è un fenomeno sempre presente nella società, che tuttavia cambia spesso faccia; in passato si trattava di un antisemitismo di matrice fascista, con il tempo è diventato un antisemitismo che tende a nascondersi dietro l’antisionismo». È proprio dalla delegittimazione di Israele, avverte Coppin, che possono fare capolino nuove forme di odio e contrasto agli ebrei.

Il portone di Palazzo Sessa (dove si trova la sinagoga) in Via Santa Maria a Cappella Vecchia, Napoli

Le strade di Napoli sono dunque intrise di storie da ricordare. Storie che rivelano un passato che mai dovremmo dimenticare, tanto meno rinnegare. Un passato che ha schiacciato vite con il peso di condanne intelligibili. Un passato che ha lasciato segni visibili sulle nostre strade, sotto il peso dei nostri passi. Per non dimenticare tutto questo non ci resta che la più semplice delle risposte: ricordare. Quindi studiare, conoscere e commemorare la Shoah, un evento unico nella storia dell’umanità.

Perché i lager tedeschi, diversamente dai precedenti, come sottolinea Primo Levi nell’appendice a Se questo è un uomo, «all’antico scopo di eliminare o terrificare gli avversari politici, affiancavano uno scopo moderno e mostruoso, quello di cancellare dal mondo interi popoli e culture». La cancellazione, in questo caso, di un popolo costretto a soffrire troppe volte nei secoli peregrinazioni, discriminazione, astio e isolamento quasi costante. È questo il «dolore antico del popolo che non ha terra, il dolore senza speranza dell’esodo ogni secolo rinnovato».

Si ringraziano Daniele Coppin e l’intera Comunità Ebraica di Napoli per la collaborazione

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