«Io, prete antialcol di Napoli apro la chiesa di notte per i minori ubriachi»

«Io, prete antialcol di Napoli apro la chiesa di notte per i minori ubriachi»
di Maria Chiara Aulisio
Giovedì 9 Gennaio 2020, 07:45 - Ultimo agg. 10 Gennaio, 06:39
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Don Salvatore Giuliano, giovane parroco della basilica di San Giovanni Maggiore - una delle chiese più antiche della cristianità, nel cuore della Napoli storica - ce la mette tutta per cercare di proteggere quelli che, affettuosamente, chiama i miei ragazzi. Sono giovani, in gran parte minorenni, frequentano i locali della zona, nelle sere del fine settimana bevono a più non posso: birra, vodka, gin, cicchetti a un euro che tracannano come fosse acqua fresca. Vengono dal Vomero, dal quartiere Chiaia, ma anche dalla periferia e dal centro antico. Li vede vagabondare da un bar all'altro, con il volto stravolto e lo sguardo perso. Tirano fino a notte, a volte litigano tra loro, qualcuno fuma canne, spesso - racconta il sacerdote - a due passi dalla basilica, sotto lo sguardo attonito di turisti e residenti. Da qui, un'idea. Quale? Aprire le porte della chiesa, il sabato sera, fino all'una di notte, per accogliere i ragazzi che hanno bevuto troppo, o - più semplicemente - hanno solo voglia di parlare e non sanno con chi farlo. All'interno della basilica quattro giovani sacerdoti pronti ad accoglierli e a ascoltarli.

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Don Salvatore, emergenza alcol anche a San Giovanni Maggiore.
«Una piaga sociale. E quel che è più grave è l'età media che si abbassa sempre di più: vedo ragazzini di tredici, quattordici anni, bere in modo esagerato e poi star male fino al coma etilico. Anche da queste parti le ambulanze vanno e vengono».

Così ha preso una decisione...
«Mi sono chiesto che cosa potessi fare per andare incontro a questi ragazzi, in che modo avrei potuto aiutarli e come provare a tirarli fuori da un tunnel dal quale non è sempre facile uscire».

Quindi che cosa ha fatto?
«Quello che è più facile per un parroco: aprire le porte della sua chiesa e lasciare che chi vuole entri. Il sabato sera, poi, rappresentava il momento più a rischio e, dunque, quello più necessario. Così ho deciso di dare la possibilità ai ragazzi di passare un po' di tempo con noi».

Ma davvero bevono e poi vengono in chiesa?
«Qualcuno è spuntato anche con la birra in mano, altri invece arrivano già belli ubriachi».

E voi che cosa fate?
«Li accogliamo e li ascoltiamo senza mai giudicare. Vogliono parlare, raccontare. Cerchiamo di usare il loro linguaggio: se vuoi che i giovani ti diano ascolto devi riuscire a stabilire una sintonia, altrimenti hai perso in partenza».

Chi c'è con lei il sabato sera in basilica?
«Un gruppo di quattro giovani sacerdoti, motivati e attrezzati per avere a che fare con i ragazzi. È con loro che ho inventato la storia delle frasi».

Quali frasi?
«Ho piazzato due cestini ai piedi dell'altare: all'interno tante palline di carta e in ciascuna una frasetta tipo Baci Perugina che invece riporta qualche parola presa dal Vangelo».

E funziona?
«A volte entrano solo per prendere la pallina, leggono la frase e vanno via».

Bella soddisfazione.
«L'importante è riuscire a farli entrare in chiesa, i ragazzi. Poi, utilizzando gli strumenti giusti, hai anche buone possibilità di vederli tornare».

Insomma, l'importante è coinvolgerli.
«Fondamentale. A Natale ho organizzato un presepe vivente con tanti giovani del quartiere: si sono divertiti, hanno lavorato sodo e sono stati lontani da alcol è droga».

Iniziativa lodevole.
«Peccato che è arrivata la Asl e ha bloccato tutto».

Per quale ragione?
«Del presepe vivente facevano parte anche alcune galline che razzolavano tranquillamente: secondo gli animalisti si trattava di maltrattamento.

Ci hanno denunciato e niente più presepe».

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