Andrea Rispoli, comandante interregionale Ogaden: «Minori soldati dei clan, via da casa i più a rischio»

L'intervista al generale di Corpo d'Armata Andrea Rispoli, comandante interregionale Ogaden

Il generale di Corpo d'Armata Andrea Rispoli
Il generale di Corpo d'Armata Andrea Rispoli
di Giuseppe Crimaldi
Sabato 4 Febbraio 2023, 11:00
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Emergenza minori, il tempo è scaduto e ora serve una svolta: «Per contrastare il fenomeno - spiega al Mattino il comandante interregionale Ogaden, generale di Corpo d'Armata Andrea Rispoli - serve una risposta concreta e sinergica da parte di diversi attori, istituzionali e no. La questione non si può risolvere solo sul piano della repressione, servono argini subito. Anche perché spesso i minori che commettono reati finiscono nelle maglie della criminalità organizzata, che li considera e li tratta come carne da macello».

Che cosa serve, in concreto?
«È un fenomeno complesso, nel quale si riconosce spesso l'assenza di una famiglia virtuosa, di una crescita culturale e valoriale basata sul rispetto del prossimo e sulla civile convivenza. Poi c'è lo spirito emulativo di modelli negativi, la dispersione scolastica, l'indigenza e la mancata consapevolezza delle conseguenze delle proprie azioni. L'Arma dei Carabinieri opera nelle scuole proprio per stimolare lo sviluppo di comportamenti che facciano desistere i giovani da commettere azioni violente e da comportamenti illeciti. Serve più informazione, in un lavoro di squadra con la società civile, che consenta di far sviluppare uno spirito critico ai giovani. Dove la prevenzione fallisce, l'attività repressiva diventa lo strumento per contrastare la devianza».

Nei casi più gravi ricorre l'assenza quasi totale dei cosiddetti presìdi primari, a cominciare dalla famiglia. A proposito, lei è favorevole all'applicazione, nei casi più gravi, della sottrazione della potestà genitoriale?
«Spesso il giovane che delinque è nato e cresciuto in un ambiente che non pone modelli di una società sana e dedita alla legalità.

La delinquenza non viene percepita come tale, i presìdi primari sono fortemente interconnessi. D'altro canto neanche le forze dell'ordine e la magistratura, da sole, possono contrastare efficacemente il fenomeno attraverso l'azione repressiva. È una responsabilità anche della collettività, del gruppo di appartenenza, del vicino di casa, dei cittadini del proprio quartiere. Salviamo questi ragazzi, finché c'è tempo. Anche in questo l'Arma può svolgere un ruolo di guida e indirizzo positivo: la capillarità delle Stazioni Carabinieri permette di interpretare il territorio e le persone, creando un rapporto di vicinanza fisica, conoscenza reciproca e quindi una concreta capacità di ascolto e intervento. Poi c'è la famiglia: il genitore ha l'obbligo di agire nell'interesse del figlio, garantendogli una adeguata educazione e un sano percorso di crescita; e l'inadempimento di questi doveri, può portare all'allontanamento dei figli e la loro ricollocazione in un contesto sociale diverso e più sano. Sono provvedimenti drastici, ma talvolta gli unici in grado di evitare la trasmissione ereditaria dei valori criminali».

Servono anche controlli più serrati sulla frequenza scolastica, non crede?
«Certamente. I controlli dei Carabinieri continuano ad essere incisivi, in accordo e stretta sinergia con le Procure per i minorenni. La dispersione scolastica alimenta la devianza giovanile, impedisce la diffusione, la condivisione di modelli positivi, il senso civico e il rispetto del prossimo. Una elevata dispersione scolastica rappresenta un ostacolo allo sviluppo della società».

È giusto riaprire il dibattito sull'abbassamento dell'età imputabile per i minori che delinquono.
«Non sempre il minore è in grado di comprendere il disvalore delle proprie condotte. La nostra legislazione considera non imputabile chi, alla commissione del fatto, ha meno di 14 anni. Si tratta di un'età già significativa e la risposta ad eventuali comportamenti devianti di ragazzini di 11 o 13 anni non può essere esclusivamente repressiva. È pur vero che si registra una diffusa opinione per la quale alcuni minorenni non vengono adeguatamente puniti, soprattutto per fatti più gravi. Diventa necessario quindi applicare al meglio gli strumenti esistenti per prevenire e reprimere i comportamenti delinquenziali dei giovanissimi con misure educative. Le nostre attività investigative si concentrano su alcune frequenti tipologie di reati: rapine, vandalismo, aggressioni, bullismo, smercio di stupefacenti. Tocca al Legislatore valutare se, il rapido cambiamento della società, necessita di aggiornare gli strumenti normativi a disposizione per far fronte alla delinquenza giovanile».

E sul rischio che questi giovanissimi possano finire nei ranghi della criminalità organizzata che cosa pensa?
«Evidenze investigative hanno dimostrato che la criminalità organizzata, soprattutto nelle regioni meridionali e nelle grandi aree metropolitane, coinvolge i giovani in fatti delittuosi, anche attraverso vere e proprie forme di affiliazione. Dove le condizioni familiari e culturali sono precarie, le mafie si inseriscono per fare proselitismo e per presentarsi come alternativa vincente producendo un abbraccio letale. In realtà giovani, e minorenni soprattutto, rappresentano solo una bassa manovalanza, considerata utile per gli interessi dei capi per commettere delitti, per dare supporto e per lucrare sulla loro minore punibilità e minor costo. Per usare un termine forte, sono carne da macello: costano poco e rischiano poco o niente. Bisogna spezzare il potere attrattivo della criminalità, i falsi miti, non bisogna lasciare quegli spazi vuoti ai giovani, ma riempirli con solidi e sani ideali, stroncando l'iconografia criminale: Come diceva il Generale Dalla Chiesa: Se è vero che esiste un potere, questo potere è solo quello dello Stato, delle sue istituzioni e delle sue leggi».

Qual è il ruolo dell'Arma dei Carabinieri nella società di oggi?
«Nel solo Comando Interregionale Carabinieri Ogaden, che ha competenza Campania, Abruzzo, Molise, Puglia e Basilicata, sono presenti 903 Stazioni, 15 tenenze, 157 tra Compagnie e Reparti Territoriali, distribuiti in poco più di 1.300 Comuni. Una capillarità che è l'essenza stessa dell'Arma e che consente ai cittadini di rivolgersi a questi presìdi di polizia per oltre il 75% delle denunce presentate. Una grande responsabilità. Da sempre l'Arma dei Carabinieri è definita come una grande famiglia, che non comprende però solo gli uomini e le donne in divisa, ma anche i singoli componenti delle comunità dove operano. Le collettività devono aiutarsi reciprocamente, al fine di far percorrere ai nostri figli le strade giuste, lontani dalla violenza, dalla sopraffazione e da modelli negativi comunque perdenti». 

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