Il tragico destino di Antonia, la figlia del poliziotto Custra uccisa dal cancro

Il tragico destino di Antonia, la figlia del poliziotto Custra uccisa dal cancro
di Daniela De Crescenzo
Domenica 20 Agosto 2017, 12:30 - Ultimo agg. 12:53
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«Antonia era piena di amore per tutto e per tutti. Aveva un grande cuore, la sua morte mi ha spianato»: poche parole strappate con un messaggio di Facebook dove aveva postato su fondo rosso: «Eri una grande anima».

Tra i tanti che piangono Antonia Custra sui social, c'è Mario Ferrandi, l'uomo che le aveva ammazzato il padre poliziotto nel corso di una manifestazione dell'estrema sinistra a Milano. La ragazza aveva accettato di incontrarlo nel 2007 e da allora i due erano sempre rimasti in contatto.

«Mia nipote non aveva mai accettato la morte di Antonio dice la zia Eugenia Sito che la ha seguita fin da bambina e aveva sempre nutrito odio nei confronti di chi le aveva tolto il padre. Poi, incontrando Ferrandi si era resa conto che quell'odio che aveva covato per anni le stava facendo del male. Ed è finita che è stata lei a consolare lui. Da quel momento lei aveva cominciato a riconquistare il sorriso. Dopo quell'incontro aveva parlato nella scuola intitolata al padre. Aveva un discorso preparato, ma aveva lasciato perdere quelle pagine e aveva parlato direttamente ai ragazzi. Lasciate perdere l'odio, perché vi rovina la vita. Io ho perso parte della mia giovinezza ad odiare e credetemi, non ne vale la pena».
Antonia Custra non era una donna qualunque. Era una donna con un destino amaro, segnato quando era ancora nel ventre della madre. Era il 14 maggio di un anno nero, il 1977, quando suo padre Antonio, poliziotto nato e Napoli e al lavoro alla Celere di Milano, era stato ammazzato con un colpo alla testa nel corso di una manifestazione organizzata dagli extraparlamentari di sinistra per protestare conto l'arresto di Giovanni Cappelli e Sergio Spazzali, avvocati di Soccorso Rosso.

Il corteo, partito dal carcere di San Vittore, era arrivato in via De Amicis quando gli uomini della Celere avevano tentato di bloccarlo. I manifestanti avevano cominciato a sparare. Ed era stato allora che il fotografo Paolo Pedrizzetti aveva inquadrato un ragazzo con il passamontagna calato, piegato sulle gambe, la pistola alzata a prendere la mira per ammazzare. Un'immagine che era diventata il segno del terrorismo. Quelli che vennero dopo furono anni di buio e di morte. Li chiamarono Anni di Piombo.
Ma a morire quel 14 maggio fu un ragazzo, Antonio Custra, un giovanissimo poliziotto arrivato da Napoli, che non tornò mai più a casa dalla moglie incinta. Due mesi dopo nacque una bimba, che prese il nome del papà.

Cosa sia stata poi la sua vita lo raccontò poi lei stessa in un'intervista esclusiva data a Carlo Nicotera per il Mattino. Anni di sofferenza, la battaglia contro «l'anoressia e la bulimia che mi hanno devastato la vita. L'insicurezza, la cura in analisi».

Poi nel giugno del 2007 l'incontro con Ferrandi che lei ricordò così: «Ho bussato alla porta di Mario. Mi ha aperto, e ci siamo dati la mano. Ho visto una persona, un individuo. Mi sono sorpresa a pensare questo, e non che avevo davanti l'assassino di papà. Lui era più imbarazzato di me e ho cercato di sdrammatizzare: quando mi ha chiesto se volevo un caffè, gli ho detto di sì purché fosse buono come quello napoletano. Poi gli ho fatto vedere una foto di mio padre e lui mi ha detto sei identica a lui».
Quindi insieme, l'assassino e la figlia della vittima, andarono in via De Amicis.

«Io volevo sapere di quella morte, volevo capire ha poi spiegato Antonia - Ho fatto una fatica enorme a superare l'odio ostinato che mi ha accompagnato in tutti questi anni. Ma quando sono stata lì, e Mario ha cominciato a spiegarmi dov'era lui, dove si era piazzato Giuseppe Memeo (il ragazzo della foto di Pedrizzetti, ndr), da dove arrivavano i lacrimogeni e dov'era la Campagnola da cui mio padre stava scendendo quando è rimasto fulminato, pian piano qualcosa si è sciolto dentro di me. E ho pensato che avevo fatto bene a vincermi e a incontrare Mario, perché l'odio mi stava distruggendo e l'odio è un sentimento contrario alla mia natura».

Quel 14 maggio del 1977 in via De Amicis con Ferrandi c'erano molte altre persone. E fu grazie ad un'altra foto, quella scattata dal fotografo dilettante, Antonio Conti, che dieci anni dopo i fatti fu riaperta l'inchiesta. Il giudice Guido Salvini riuscì a identificare un fotografo, che compariva nelle immagini scattate da altri, e che puntava l'obiettivo verso la Campagnola della Polizia. A casa Conti, furono trovati ventotto negativi della sparatoria che non erano mai stati pubblicati e si scoprì che a sparare era stato Mario Ferrandi, all'epoca militante di un gruppo di estrema sinistra, passato poi all'organizzazione terrroristica Prima Linea e finito dissociato. Fu condannato e con lui furono giudicati colpevoli di concorso morale anche Giuseppe Memeo e Walter Grecchi, che da quel momento iniziò una lunga latitanza in Francia.

Ferrandi dopo 4 anni di carcere di massima sicurezza in Italia, riuscì a dimostrare di essere un'altra persona e trent'anni dopo è stato riabilitato dopo aver incontrato la figlia della sua vittima. Antonia di quella tragedia alla fine era riuscita a farsi una ragione. «Dopo aver incontrato Mario ho pensato che eravamo vittime entrambi spiegò al Mattino - Anche Mario, che all'epoca era un ragazzo, e che forse è stato un burattino in mano a qualcuno, ha avuto una vita distrutta dal marchio di terrorista. E ho capito che non era possibile andare avanti così. E abbiamo deciso di cercare di avere le carte del processo per rileggerle insieme e capire ancora meglio che cosa è successo, come sono andate le cose».
In forze alla Questura di Napoli come amministrativa, Antonia aveva mantenuto con l'assassino del padre dei contatti attraverso i social.

Dal 2013 aveva ingaggiato una battaglia contro il male che l'assediava, ma alla fine è stata sconfitta. E' morta giovedì notte nella casa di San Giorgio dove da sempre viveva con la mamma Anna che era tornata a Napoli dopo la morte del marito. «Mia nipote non si è mai arresa ha lottato fino alla fine come una leonessa», spiega la zia. Tanti l'hanno pianta sulla sua pagina Facebook. E tra i tanti anche l'uomo che le aveva distrutto la vita.
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