Appalti, condannato imprenditore
del clan: «Imponeva il pizzo»

Appalti, condannato imprenditore del clan: «Imponeva il pizzo»
di Dario Sautto
Sabato 15 Febbraio 2020, 08:37
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Il subappalto all'imprenditore vicino al clan per evitare «ammuina» da parte dei D'Alessandro, o in alternativa il 3 per cento sul pagamento da parte degli enti. E ancora, il pizzo imposto dai Gionta anche al porto e alle agenzie di pompe funebri. Due processi separati, che riguardano la camorra di Castellammare e di Torre Annunziata, sono stati celebrati ieri in corte d'Appello a Napoli.

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IL CLAN D'ALESSANDRO
Arriva lo «sconto» in appello per l'imprenditore Daniele Imparato, 27enne arrestato meno di due anni fa per estorsione aggravata dal metodo mafioso. Per lui, in primo grado, era arrivata la condanna a 4 anni di reclusione, decurtata a 3 anni con l'assoluzione da due dei tre capi d'imputazione in seguito al ricorso presentato dal suo legale, l'avvocato Antonio de Martino. Regge, però, l'accusa di collusione con il clan D'Alessandro, come sostenuto già in sede di richiesta di arresto dal pm Giuseppe Cimmarotta.

Incensurato, Imparato è ritenuto dagli investigatori uno degli imprenditori edili vicini agli ambienti del clan D'Alessandro. Titolare di un'azienda edile che ha la sua sede proprio sulla Panoramica, a due passi da Scanzano il quartiere dove ha la sua roccaforte il clan Imparato aveva imposto il pizzo ad un altro imprenditore che si era appena aggiudicato l'appalto per il restyling di piazza Principe Umberto. I lavori, già eseguiti, sarebbero stati più «tranquilli» se la vittima avesse inserito tra i subappaltatori proprio Gruppo Imparato I.Ca.Da., la ditta del 27enne. «Devi avere un occhio di riguardo» era il consiglio dato al collega imprenditore, che stava per «varcare» il confine e per iniziare i lavori in territorio stabiese. La vittima, però, aveva deciso di denunciare queste strane «proposte» di Imparato direttamente all'Antimafia.

IL PIZZO DEI GIONTA
Discorso diverso a Torre Annunziata, dove gli imprenditori taglieggiati dal clan Gionta hanno negato di essere vittime del racket durante le indagini e anche dopo gli arresti degli estorsori, e sono stati a loro volta condannati in primo grado per favoreggiamento. Ieri, la Procura generale ha chiesto di confermare quasi in toto i 90 anni di carcere arrivati nel processo di primo grado per il nuovo gruppo di estorsori, condannati poco più di un anno fa.

Secondo l'accusa, a capo degli esattori dei Gionta c'era Luigi Della Grotta, il 52enne conosciuto come Giggino o panzarotto, uno degli affiliati storici ai «valentini», uscito dal carcere per fine pena a dicembre 2015 e tornato alla guida del gruppo di esattori praticamente subito, condannato a 18 anni di reclusione. Chiesta la conferma dei 16 anni di carcere anche per Oreste Palmieri e Raffaele Passeggia, ritenuti gli esecutori materiali di una parte delle estorsioni ai danni di commercianti ed imprenditori.
Nelle spire del clan Gionta c'erano tutti: imprenditori edili, piccoli cantieri, agenzie di pompe funebri, ristoranti, negozi di abbigliamento e centri medici. Tutti dovevano pagare il pizzo, altrimenti iniziavano minacce e ritorsioni. Chiesta la conferma dei 10 anni di reclusione per Valerio Varone, Luigi Caglione, Salvatore Ferraro e Pietro Izzo (ritenuto uno dei capi) e dei 6 anni per Leonardo Amoruso. Riconosciuto uno sconto a 3 anni e mezzo per Raffaele Abbellito (assistito dall'avvocato Ciro Ottobre) per un errato calcolo della pena e a 2 anni e 8 mesi per Antonio Palumbo (avvocato Govanni Tortora): i due erano stati condannati a 4 anni di carcere. Parti civili ci sono un imprenditore casertano, la Camera di Commercio Industria e Agricoltura di Napoli, l'Associazione Mutua Consumatori Campania e Alilacco Sos Impresa.
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