Arianna Flagiello suicida a Napoli, i giudici: «Viveva nel terrore dell'ex»

Arianna Flagiello suicida a Napoli, i giudici: «Viveva nel terrore dell'ex»
di Valentino Di Giacomo
Sabato 8 Maggio 2021, 12:00 - Ultimo agg. 9 Maggio, 10:26
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«Ti supplico, sto tremando». È il messaggio che Arianna Flagiello aveva inviato al suo compagno, Mario Perrotta, appena due giorni prima di togliersi la vita a soli 32 anni. Un suicidio istigato dai continui maltrattamenti di un fidanzato che i magistrati di Napoli hanno definito - nel depositare ieri le motivazioni della condanna a 19 anni di carcere per l'uomo - «di assoluta insensibilità, anche nell'ultimo giorno di vita della compagna».

Arianna Flagiello, deceduta il 19 agosto del 2015, aveva deciso di farla finita dopo tutte le violenze subite. Quel giorno d'estate di quasi sei anni fa non ha più retto alle minacce e ai maltrattamenti continui. Si è lanciata nel vuoto dalla propria abitazione all'Arenella, in via Montedonzelli.

Per i magistrati della Corte d'Appello di Napoli - presidente Rosa Romano, a latere Amalia Taddeo - quel gesto estremo è stato frutto delle «condotte di maltrattamento e non è attribuibile a una causa autonoma». Il tribunale definisce quel suicidio come un atto «in concreto prevedibile». 

I magistrati partenopei hanno ricostruito minuziosamente lo stato psicologico in cui si trovava Arianna, una condizione fotografata di «intollerabile disperazione conseguita alle condotte maltrattanti del compagno». Una storia d'amore malata quella tra Arianna e Mario che andava avanti da quando lei aveva 18 anni e proseguita tra violenze fisiche e verbali, ma anche di continue richieste economiche da parte di Perrotta che non aveva un lavoro stabile a differenza della compagna che lavorava presso una casa editrice. La coppia aveva cominciato a convivere nel 2012, quando erano andati ad abitare insieme in un appartamento messo a disposizione dai genitori di Arianna che si trovava nello stesso palazzo dove la 32enne era cresciuta. 

Nel capo di imputazione contestato a Perrotta anche i messaggi che il 35enne mandava ad Arianna. Un continuo terrorizzare la sua vittima-compagna. «Sto tornando, incomincia a scappare» o ancora «mo ti faccio mettere paura veramente». Messaggi con cui l'uomo «umiliava e offendeva Arianna - sostengono i giudici - fino a ridurla in uno stato di soggezione completa». Per questo, secondo la Corte di Appello, Perrotta era pienamente consapevole «della condizione di estrema fragilità e di vero terrore in cui aveva ridotto Arianna con le condotte gravemente maltrattanti di cui l'aveva fatta oggetto», portate avanti. A nulla erano valsi, è stato ricostruito dal tribunale - pure «i disperati inviti di lei a smetterla altrimenti si sarebbe tolta la vita». Nelle motivazioni, oltre alle testimonianze di alcuni amici che parlano di uno stato di assoggettamento da parte di Arianna nei confronti di Mario, di un rapporto «malsano», è stato incluso anche un messaggio risalente al 17 agosto, appena due giorni prima dell'estremo gesto, inviato dalla vittima all'uomo. «Vita mia. ti supplico, no... ti prego... sto tremando e non riesco ad accucchiare (a mettere insieme, ndr) nulla... ti prego...». Perrotta è stato ritenuto colpevole di istigazione al suicidio e maltrattamenti, con l'aggravante della morte, ma pure di tentata estorsione. In primo grado Perrotta era stato condannato a 22 anni di reclusione, la pena è stata ridotta in Appello a 19.

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