Asl Napoli 1, appalti e incarichi finiscono nel mirino della Procura

Asl Napoli 1, appalti e incarichi finiscono nel mirino della Procura
di Leandro Del Gaudio
Lunedì 1 Giugno 2020, 10:30 - Ultimo agg. 14:46
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Appalti veicolati a ditte in odore di camorra, procedure amministrative sospette, ma anche consulenze affidate in modo anomalo. Eccolo lo scenario che è emerso dalle indagini del pool anticamorra sull'ospedale San Giovanni Bosco, vero e proprio crocevia di verifiche penali e prefettizie, in una vicenda che tiene in apnea i vertici dell'Asl Napoli uno. Una storia nota grazie ad un paio di inchieste monstre messe a segno dalla Dda di Napoli tra il 2014 e il 2019, in uno scenario investigativo in attesa di sviluppi. È il filone dell'inchiesta sulla gestione del San Giovanni Bosco, ospedale normalizzato - e per molti versi ripulito - negli ultimi due anni grazie a interventi incisivi dei vertici dell'Asl, su cui sono però in corso ancora verifiche incrociate. Diversi i profili analizzati dalla commissione d'accesso nominata ormai più di un anno fa, giunta sulla scrivania del ministro dell'Interno Luciana Lamorgese, che dovrà assumere una decisione a proposito della gestione dell'Asl Napoli uno, anche e soprattutto alla luce di quanto venuto fuori dal caso San Giovanni Bosco. Restiamo a quanto emerso dall'inchiesta della scorsa primavera (firmata dai pm Alessandra Converso, Maria Sepe e Ida Teresi), a proposito delle infiltrazioni criminali nel nosocomio di via Briganti.

LE MANI DEL CLAN
Una presenza fissa dei Bosti-Contini, che avrebbe riguardato anche il controllo di importanti capitoli di spesa, a proposito di appalti e procedure amministrative su cui sono in corso verifiche. Della buvette e della guardiania si sa ormai tutto, diverso il discorso legato ad appalti e consulenze. Ma andiamo con ordine, a ricostruire la traiettoria delle verifiche condotte sul piano penale e amministrativo. È di pochi mesi fa, la decisione di sgomberare il ristorante all'interno del San Giovanni Bosco, che per anni ha lavorato in un regime di completa irregolarità. Stesso discorso per quanto riguarda il servizio offerto da una cooperativa di vigilantes, che ha agito - almeno fino a due anni fa - senza alcuna concessione: emettevano tagliandi, rispettavano turni, ma erano vigilantes completamente abusivi, riconosciuti per anni dai vertici dell'ospedale.

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GARE E CONSULENZE
Diverso e più recente il filone che riguarda gli appalti. C'è un pentito che è stato chiaro: «Qui il clan Bosti è in grado di stabilire a chi devono essere affidate le gare per la manutenzione di un intero reparto». A raccontare quello che avveniva nell'ospedale sono stati due collaboratori di giustizia, i fratelli Teodoro e Giuseppe De Rosa. Attraverso i suoi affiliati, assunti anche come portantini, autisti, infermieri, il gruppo criminale dei Botta, legato strettamente ai Contini, controllava tutte le attività: otteneva appuntamenti per visite e analisi, saltando le liste di attesa; gestiva farmaci in modo gratuito o illegale; lucrava sulle ambulanze utilizzate illegalmente per trasportare i cadaveri a casa. Capitolo a parte quello legato ai falsi certificati medici, decisivi per truffare le società di assicurazione grazie ai falsi incidenti. Una sorta di Eldorado per la camorra, anche grazie all'intervento di professionisti e consulenti ritenuti legati al gruppo dei Botta, dunque ai Bosti-Contini. Riflettori anche sulla realtà dei sindacati, che in alcuni casi riuscivano ad orientare le scelte della direzione sanitaria. Ecco il verbale di Teodoro De Rosa, che col fratello Giuseppe ha gestito a lungo il bar e il ristorante dell'ospedale: «I direttori sanitari sono sempre stati a disposizione del clan e pronti ad accettarne le imposizioni, anche perché altrimenti rischiavano». Alcuni medici «erano proprio dalla nostra parte; ad esempio ci informavano se qualcuno della direzione sanitaria non seguiva le indicazioni del clan, che decideva come distribuire gli straordinari alla ditte appaltatrici, visto che su questo c'era bisogno dell'okay del direttore sanitario». Così come «ci sono medici che hanno prestato la loro opera per feriti d'arma da fuoco del clan che non dovevano passare in ospedale». È il caso del Pronto soccorso il cui funzionamento - hanno svelato i collaboratori di giustizia - sarebbe stato in passato condizionato dal pressing mafioso.

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