Baby gang, Napoli prova a reagire: dal liceo del 17enne accoltellato il grido di rivolta

Baby gang, Napoli prova a reagire: dal liceo del 17enne accoltellato il grido di rivolta
di Daniela De Crescenzo
Mercoledì 20 Dicembre 2017, 22:59 - Ultimo agg. 21 Dicembre, 08:23
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«Arturo siamo tutti con te»: si ribellano gli studenti del liceo Cuoco, e, all’ingresso delle due sedi dell’istituto sistemano un grande striscione per esprimere il loro affetto al compagno ferito. Accanto c’è un pennarello: chi passa scrive il suo nome e in poche ore non c’è più uno spazio libero.

E allora i ragazzi decidono che la solidarietà non basta, che bisogna fare di più, bisogna urlare, bisogna farsi sentire, e, insieme alla terza municipalità, organizzano una manifestazione contro la violenza folle e gratuita che ha rischiato di uccidere il loco amico. Subito al loro fianco si schiera la preside Adele Barile, prendono posto gli insegnanti. Dalla scuola, tutta, parte un comunicato: «Il liceo Cuoco-Campanella, insieme alla terza municipalità, il comune di Napoli, le istituzioni tutte, stringendosi intorno alla famiglia dello studente vittima di un efferato ed incomprensibile atto di violenza,si fa promotore di un’iniziativa di solidarietà e di lotta alla criminalità muovendo in corteo, venerdì 22 dicembre, alle ore 10.30, da piazza Miracoli fino all’ ex Caserma Garibaldi in via Foria».
 

 

In poche ore la voce corre, e, di banco in banco, di scuola in scuola, cresce il no alla violenza e alla sopraffazione. Arrivano le adesioni del Genovesi, del Galiani, del Vittorio Emanuele II, del comprensivo Casanova. Il Villari fa sapere che manderà una delegazione. Dall’ospedale dove assiste ininterrottamente il figlio, la mamma di Arturo spiega: «Questa deve essere l’occasione per cambiare. Queste scene da Arancia Meccanica devono finire: non si può rischiare la vita così, per niente». 

Il suo appello rafforza la volontà dei ragazzi che già da lunedì sera, subito dopo l’aggressione, si sono precipitati in ospedale. Racconta Anna Gallo, l’insegnante di lettere di Arturo: «I compagni di classe sono rimasti sconvolti. Appena si è diffusa la voce del ferimento, molte compagne si sono fatte accompagnare dai genitori al San Giovanni Bosco. Martedì, con la preside e con noi insegnanti, ci è andata tutta la classe». E infatti l’ospedale è affollato da ragazzini con gli occhi rossi e gli zaini in spalla.

Per tutti parla Marco, uno dei rappresentanti degli studenti nel consiglio d’istituto: «Abbiamo saputo subito dell’aggressione ad Arturo, ma pensavamo a una rapina perché il nostro amico non è un attaccabrighe e anche nelle discussioni più accese la sua arma è l’ironia. Forse, invece, si è trattato di un assalto ancora più gratuito. In realtà non sappiamo quello che è successo, ma certamente si tratta di un gesto di una violenza assurdo. La sopraffazione è diventata quotidiana e diffusa, ma non per questo è accettabile. Bisogna dire basta e organizzare interventi immediati contro l’illegalità di cui sempre più spesso sono protagonisti i ragazzini sempre più giovani delle baby gang. Per questo già martedì noi rappresentanti siamo andati in tutte le classi e tutti insieme abbiamo deciso di ribellarci».

 

Ma non ci sono solo le scuole a non poterne più: «Ci sono storie che ci impongono di non rimanere in silenzio - ha scritto in un comunicato il presidente della terza Municipalità, Ivo Poggiani - È il caso di Arturo, il ragazzino di 17 anni accoltellato circa venti volte a Via Foria, pochi giorni fa, mentre tornava a casa. Venti volte. Una storia orribile, che diventa ancora più agghiacciante se si aggiunge che gli autori di quest’agguato potrebbero essere ragazzini piccolissimi, per i quali la vita come la morte deve essere diventata già una cosa da nulla, uno scherzo, qualcosa con cui poter giocare. Oggi la famiglia di Arturo, la sua scuola, il suo quartiere fanno un appello comune a scendere in piazza per manifestare contro la violenza, contro la cultura di crimine e sangue che le camorre trasmettono ai nostri giovani, contro le intimidazioni soprattutto verso chi è ancora poco più che un bambino. Perché di questo si tratta, sempre maledettamente troppo spesso. Bambini».

Bambini con il coltello, pronti a dare addosso ad altri bambini. Bambini che infieriscono, che urlano, che fanno i gradassi. Bambini che ti lasciano inermi per lo stupore. Come è successo ad Arturo, come è successo al tredicenne della scuola Di Giacomo che poco più di un mese fa fu aggredito da un compagno di scuola a pochissima distanza dalla caserma Garibaldi, dove si è svolto l’assalto di lunedì. Allora ad accoltellare il compagno era stato un bambino di undici anni. Oggi, smarriti, temiamo di scoprire che ad entrare in azione siano stati ragazzini di poco più grandi.
Ma ancor di più presidi e insegnanti temono che i loro alunni, i nostri figli, possano assuefarsi a guardarsi le spalle, a vivere con la paura. Loro non ci stanno e chiedono legalità e giustizia: «Questo crimine efferato, di una violenza gratuita ed inaudita, non può restare impunito. Mi rifiuto di crederlo. I colpi inferti hanno provocato ferite all’anima oltre che al corpo, ferite profonde che si rimargineranno solo se si restituisce ai giovani la speranza. La speranza che il crimine non paghi, che la violenza sia bandita dalle nostre strade, che la paura non prenda il sopravvento sulla spensieratezza e la gioia di vivere che è propria dei nostri giovani».

Di qui un appello: «Alle istituzioni, chiediamo di restituire ai nostri ragazzi la speranza, spesso così brutalmente sottratta. Noi operatori della scuola ci crediamo e faremo in modo che i nostri studenti non smettano mai di credere che le cose possono cambiare e che i fautori di questo cambiamento sono proprio loro». Domani, dunque, la manifestazione. O magari, come si diceva una volta, la dimostrazione: per dire che la forza, quella vera, è quella di chi accetta di stare insieme, di parlare, di guardarsi in faccia. Senza coltelli.

 

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