Babyboss, donne e social: ecco i nuovi clan, così la camorra si ringiovanisce

Babyboss, donne e social: ecco i nuovi clan, così la camorra si ringiovanisce
di Leandro Del Gaudio
Giovedì 14 Febbraio 2019, 07:00
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Avanzano i babyboss: sono la «linfa vitale» dei clan, sono violenti e pronti a tutto, non riconoscono le gerarchie e si rafforzano a vicenda usando i circuiti social. Già, i social: facebook, in primis, la loro piazza virtuale con cui costruire profili da boss. Salgono in cattedra le donne, quando i loro mariti sono in cella o latitanti. Napoli, Italia: il trend registrato da almeno cinque anni nella camorra del capoluogo partenopeo sembra aver contagiato anche strutture piramidali come la mafia e la ndrangheta. È quanto emerge dalla relazione semestrale (prima parte del 2018) scritta dalla Dia, che scatta una foto sulle evoluzioni criminali di piccole e grandi cosche delle aree metropolitane. Donne e minori in prima linea, ma anche professionisti e pezzi della borghesia cittadina in grado di flirtare con il circuito criminale, in vista di un'operazione cosmetica: così i clan si mimetizzano tra noi - avvertono gli investigatori - pensando alle indagini napoletane ma anche nel Casertano e nel Nolano. Per dirla con il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho, in azione anche quelli che «usano l'indice non per sparare, ma per fare clic sul tasto di un computer e nascondere capitali illeciti».
 
Ma torniamo ai punti chiave dell'analisi che la Dia del comandante Giuseppe Governale ha offerto al Parlamento: a Napoli si diffondono gli episodi «riprovevoli e violenti» commessi dalle cosiddette baby gang, «espressione di una vera e propria deriva socio-criminale». Forte delle indagini del capocentro napoletano Lucio Vasaturo, la direzione investigativa antimafia parla di azioni connotate spesso da «ingiustificata ferocia», che sfociano in episodi di bullismo metropolitano e atti vandalici. I minori - sottolinea la relazione - rappresentano un «esercito di riserva per la criminalità, da impiegare, in particolare, nelle attività di spaccio delle sostanze stupefacenti ove, come più volte emerso dalle attività investigative, partecipano persino i bambini», che vengono impiegati come «pony express» per le consegne a domicilio.

È uno dei punti critici della polveriera napoletana e ha riguardato la zona del centro storico in particolare: la scarcerazione di un soggetto del calibro di Ciro Mariano, avvertita tra i vicoli dei Quartieri Spagnoli come un momento di destabilizzazione rispetto a più recenti formazioni (gli Elia e i Ricci-Saltalamacchia); ma anche la scarcerazione dell'autunno del 2018 di un personaggio del calibro di Salvatore Barile, dopo aver scontato una lunga detenzione per fatti di camorra. Ed è proprio quest'ultimo episodio ad aver allertato gli analisti del crimine napoletano, di fronte a una miscela esplosiva per molti versi inedita: dopo la scarcerazione di Salvatore Barile (figlioccio dei fratelli Mazzarella) e di Ciro Mazzarella (classe 1971) si registra la difficile convivenza tra boss di riconosciuto spessore criminale e quelli delle «paranze», delle baby gang rappresentate da minori o giovanissimi che provano a farsi largo e ad affermarsi. È in questo scenario che si è registrata la bomba in via dei Tribunali contro la pizzeria di Gino Sorbillo, vale a dire in una zona dei Sibillo, a loro volta sostenuti dai Rinaldi, rivali storici dei Mazzarella.

E le statistiche, in chiave nazionale, confermano il trend del fenomeno: negli ultimi cinque anni non solo si sono registrati casi di «mafiosi» con un'età tra i 14 e i 18 anni, ma gli appartenenti alle cosche tra i 18 e i 40 anni hanno raggiunto numeri quasi uguali a quelli della fascia tra i 40 e i 65 anni e, in un caso, lo hanno anche superato (nel 2015 i denunciati e gli arrestati per 416 bis sono stati 5.437 di cui 2.792 tra i 18 e i 40 anni e 2.654 tra i 45 e i 60). Tutte le indagini degli ultimi anni, spiegano gli investigatori, accanto ad una «modernizzazione» delle strategie criminali delle cosche, evidenziano non a caso «anche un sensibile abbassamento dell'età di iniziazione mafiosa».

Ed è in questo scenario che si registra una «trasformazione della cultura mafiosa - dice la Dia - che investe anche il linguaggio, al passo con i tempi. Non tanto rispetto ai contenuti delle comunicazioni, sempre criptiche, imperative e cariche di violenza, quanto piuttosto per gli strumenti social utilizzati, che consentono di aggregare velocemente gli affiliati al sodalizio e, allo stesso tempo, di rendere più difficoltosa l'intercettazione dei messaggi».

Cambiano i sistemi dello spaccio, si sgretolano le «piazze» tradizionali (quelle con i turni di sentinelle e singoli pusher), per creare «passaggi di mano» grazie a staffette sul territorio, che si muovono «a chiamata» spesso in sella a scooter.

Segnalato il pressing sulla gestione della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti, a Napoli e a Salerno, che attrae non solo «l'interesse della criminalità organizzata ma anche di imprenditori del settore e di amministratori pubblici infedeli».
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