Banco di Napoli, la Fondazione fa causa al Tesoro: «Un miliardo di rimborso»

Banco di Napoli, la Fondazione fa causa al Tesoro: «Un miliardo di rimborso»
di Gigi Di Fiore
Martedì 15 Settembre 2020, 07:52 - Ultimo agg. 09:14
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La citazione è stata depositata al tribunale di Napoli mercoledì scorso. Dopo l'annuncio di due anni fa, la Fondazione Banco di Napoli avvia la causa contro il ministero di Economia e finanze (Mef) per ottenere l'indennizzo sui crediti recuperati dell'antico istituto di credito napoletano di cui fino al 1996 era principale azionista. È l'inizio di un lungo percorso giudiziario sul grande scippo ai danni del Banco di Napoli, svenduto e dichiarato insolvente con troppa fretta e molte ombre. «Un'azione per la verità» l'ha definita la presidente della Fondazione, Rossella Paliotto.

IN TRIBUNALE
Ottenuto il sì di tutto il Consiglio generale della Fondazione, il Consiglio di amministrazione si è affidato al presidente nazionale dell'Unione delle Cameri civili: l'avvocato Antonio De Notaristefani di Vastogirardi. Studio in via Vittoria Colonna a Napoli, è un civilista specializzato in materia. E spiega: «È una vicenda che rappresenta un pezzo di storia di Napoli e dell'intero Mezzogiorno. È passata l'idea che il Banco ottenne un pesante intervento dello Stato per le sue difficoltà. Non fu così, la questione centrale nel 1995 fu la differente valutazione dei crediti che portava a stimare pesanti passività in bilancio senza fondamento».

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Il ministero del Tesoro ricapitalizzò la Banca napoletana dai quasi cinque secoli di storia con 2000 miliardi di lire. Era denaro del bilancio statale iscritto nel capitolo degli interventi per il Mezzogiorno, come spiega la relazione dell'epoca. Nessun regalo. La Fondazione, che aveva il 69,4 per cento delle quote del Banco, contribuì alla ricapitalizzazione con 3000 miliardi, mentre i soci privati vi misero 1500 miliardi. Insomma, non fece tutto lo Stato. Eppure, il ministero del Tesoro impose l'azzeramento delle quote societarie e la svendita dell'istituto, per poco meno di 62 miliardi, con un'asta assai discussa che si aggiudicò la Bnl con l'Istituto nazionale delle assicurazioni. Il prezzo pagato significava una valutazione del Banco di Napoli e del suo enorme patrimonio immobiliare pari solo a 100 miliardi di lire. Dall'intera operazione, la Fondazione uscì con le ossa rotte. E fu costretta a vendere l'unico patrimonio di valore che possedeva: le quote della proprietà del quotidiano Il Mattino con le testate collegate, la sede, la tipografia e i beni collegati. Qualche anno prima, il Banco di Napoli aveva valutato la testata 150 miliardi. Fu venduta a 90 miliardi.

LA SEDE
La Fondazione rimase custode dell'archivio storico, dell'antico logo della Banca, ma fu spogliata anche della sede che divenne di proprietà di Banca Intesa, la nuova titolare delle quote del Banco cedute dalla Bnl solo due anni dopo l'acquisto. Un'ulteriore incredibile cessione: ciò che era stato comprato a poco meno di 62 miliardi fu venduto al San Paolo Imi di Torino per 3600 miliardi, valutando il Banco 6500 miliardi di lire. Una moltiplicazione strana, che apparve una beffa agli azionisti spogliati delle loro quote dopo una convulsa assemblea il 30 luglio 1996 in cui il rappresentante del ministero del Tesoro arrivò già con le decisioni prese. «L'azione ci è sembrato un nostro dovere - spiega il vice presidente della Fondazione, Vincenzo Di Baldassarre - È stato un work in progress, legato alle decisioni del Mef e all'acquisizione di informazioni sui bilanci della ex Sga, oggi Amca».

I DETTAGLI
Proprio sulla Sga, società creata nel 1996 dal Ministero per recuperare i cosiddetti crediti «inesigibili» del Banco, condannandolo al frettoloso giudizio politico-finanziario che ne troncava la storica autonomia, si concentra l'azione giudiziaria della Fondazione. Nella legge 588 che istituì nel 1996 la Sga, l'articolo due assicurava che, al termine del recupero, si sarebbero fatti i conti e restituito il dovuto agli ex azionisti azzerati del Banco. Nel 2017, l'allora consiglio della Fondazione notificò un «atto di significazione» al Ministero. La Sga aveva concluso il suo compito, recuperando quasi tutti i crediti arrivando nel 2018 a un attivo di 47 milioni e 518.765 euro. La Fondazione chiedeva di applicare la legge del 1996. Nessuna risposta da Roma. Il 27 aprile scorso, l'attuale consiglio della Fondazione rinnova la richiesta, annunciando possibili iniziative giudiziarie. Ancora silenzio dal Ministero. Ed è partita la citazione, con quantificazione del credito affidata ai giudici, anche se viene ipotizzato per tutti gli ex azionisti un indennizzo di circa un miliardo di euro.

Spiega l'avvocato De Notaristefani di Vastogirardi: «Diamo per valida l'assemblea del 30 luglio 1996, come stabilì anche una decisione giudiziaria dell'epoca. Fondiamo l'azione sull'articolo due della legge 588, anche dopo che il governo ha trasformato la Sga con il nome di Amco acquisendone tutte le quote. In pratica, l'Amco, che come Sga era nata per recuperare i crediti difficili del Banco di Napoli, attraverso quei recuperi ha un bilancio in attivo ed è diventata finanziaria per il salvataggio di banche in crisi come i due istituti di credito veneti di cui oggi si occupa». Insomma, spogliato il Banco e i suoi azionisti di crediti che poi non erano così tanto «inesigibili», svalutati e comprati a prezzo minore, con quegli stessi soldi e un maquillage di nome e proprietà, la ex Sga sta salvando Veneto banca e Banca popolare di Vicenza. E la Fondazione? Nulla è dovuto, sentenziò la relazione del governo Renzi che preparava il terreno per trasformare la Sga in Amco. Il Sud «assistito» che porta ossigeno al Nord. E non è la prima volta.

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