Bimbo ucciso a bastonate, il patrigno
ai giudici: «Perché una pena così dura?»

Bimbo ucciso a bastonate, il patrigno ai giudici: «Perché una pena così dura?»
Martedì 26 Ottobre 2021, 19:47 - Ultimo agg. 27 Ottobre, 16:06
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«Signor giudice... mi scuso per il tempo che le faccio perdere ma vorrei che lei mi possa aiutare a capire perché ho ricevuto un trattamento così duro. Ho sempre ammesso le mie responsabilità...». Inizia così la lettera rivolta ai giudici e scritta di suo pugno da Tony Essobti Badre, il giovane condannato all'ergastolo il 9 novembre 2020, in quanto ritenuto colpevole dell'omicidio di Giuseppe Dorice, il bimbo ucciso a bastonate nel gennaio 2019 a Cardito, in provincia di Napoli.

Badre è stato condannato, nel novembre 2020, anche per il tentato omicidio di una delle due sorelline di Giuseppe e per i maltrattamenti sui fratellini.

Alla madre dei bambini, Valentina Casa, sono stati inflitti invece sei anni di reclusione in quanto ritenuta colpevole solo sotto il profilo omissivo. E contro l'assoluzione di Valentina Casa dai reati più gravi (omicidio e tentato omicidio), le associazioni Cam Telefono Azzurro e Akira, rappresentate dall'avvocato Clara Niola, hanno proposto appello insieme con la Procura e gli avvocati di Essobty e Valentina. Il processo di secondo grado prenderà il via domani davanti alla Corte di Assise di Appello di Napoli (seconda sezione). A rappresentare le due sorelline di Giuseppe sarà l'avvocato Pierfrancesco Moio.

Nella missiva che domani l'avvocato Pietro Rossi, legale di Badre, consegnerà ai giudici, l'imputato chiede che possa essere letta in aula. Tony si dice consapevole che le sue scuse «non serviranno a nulla, se non a trovare un pò di pace». Ribadisce, come fatto anche in primo grado, che non era sua intenzione uccidere il bimbo: «...non so cosa è scattato nel mio cervello. È scattato il buio... non volevo la morte di Giuseppe». «L'imputato ha compreso la gravità delle proprie azioni - spiega l'avvocato Pietro Rossi - ma avverte la pena come ingiusta. In effetti la pena dimostra la tendenza punitiva della sentenza che non tiene conto né delle risultanze processuali né della situazione sociale ed umana di un ragazzo che vuole una rieducazione che l'ergastolo non potrà mai dargli». 

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