«Blocchi miofasciali
in chirurgia mammaria»

«Blocchi miofasciali in chirurgia mammaria»
di Cristiano D’Errico*
Giovedì 13 Luglio 2023, 19:17 - Ultimo agg. 14 Luglio, 10:20
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“Dottore, a me quel che fa più paura, non è l’intervento, ma l’anestesia!” Quante volte noi anestesisti ci siamo ritrovati a raccogliere questa confessione spiazzante, ed a sentirci impotenti di fronte alla possibilità di poter dare un sollievo, un conforto a chi soffre per un male che condiziona e toglie anche energie psicologiche.
Oggi le nuove frontiere dell’anestesia loco-regionale offrono la possibilità di una valida alternativa all’anestesia generale: i cosiddetti blocchi di fascia
I blocchi miofasciali sono nati nel 2011 da Rafael Blanco, in alternativa ai blocchi neurassiali (anestesia toracica peridurale, in voga in quegli anni); li ha proposti come valida alternativa in tutti quei casi difficili per conformazioni anatomiche (ad es. scoliosi, preesistenti fratture alle costole) e in caso di patologie concomitanti (ad es. gravi coagulopatie, malattie cardiache)
Sono finalizzati alla diffusione dell'anestesia locale nelle fasce, un tempo considerate solo elementi che avvolgevano organi e apparati, e che oggi sono considerate vere e proprie autostrade in grado di collegare distretti anatomici anche lontani l'uno dall'altro
Ecco come, in interventi chirurgici che una volta prevedevano solo l'anestesia generale, oggi possiamo anche effettuare interventi demolitivi e radicali su organi come il seno; l' organo espressione massima della femminilità si avvale di queste tecniche dei blocchi fascia, perché è possibile (con l'aiuto degli ultrasuoni e degli aghi dedicati) iniettare anestetico locale dove corrono le principali strutture nervose della parete toracica.
Questo è sicuramente nella gran parte dei casi un elemento che toglie ansia alle pazienti, la qual cosa ormai ho appurato da anni, essendomi dedicato a questa nuova frontiera  dal 2016, colto dall’ entusiasmo coinvolgente di colleghi ragguardevoli come Pierfrancesco Fusco, Mario Tedesco e Giuseppe Sepolvere, Paolo Scimia sempre prodighi di consigli ed in grado di fare squadra pur lavorando tutti noi in ospedali differenti del centro-sud Italia.
Perché i blocchi di fascia rappresentano quindi una rivoluzione nel campo anestesiologico? Perché in realtà, come dicevamo prima, hanno ampliato anche le nostre conoscenze di anatomia, e consentito di avere una visione anche più ampia dell’anatomia, fisiologia e farmacologia. Considerare infatti che un farmaco possa fare effetto anche a distanza del punto di inoculazione, stravolge anche alcuni capisaldi e consente un approccio più completo alla medicina. Mi è capitato recentemente  di leggere un testo di osteopatia del 1989 Di Danis Bois “ Fasce, sangue, ritmo complici nelle patologie funzionali”,  che sottolineava ( cosa sconosciuta ai medici all’epoca), l’importanza e il ruolo delle fasce nella distribuzione anche di stress emozionali, tensivi: immaginatevi ora quanto sia stravolgente l’effetto di un farmaco a distanza del punto di inoculazione e quali frontiere possa aprire anche nella cura del dolore cronico.
Come si esegue in chirurgia mammaria questo blocco? Immaginate che il torace sia idealmente diviso in quattro quadranti da due linee perpendicolari che passano attraverso il capezzolo: attraverso la puntura di questi quattro quadranti, sarà possibile avere un'anestesia completa dell'intero seno e condurre interventi sia minimi che radicali (quadrantectomia con o senza rimozione del nodo sentinella o dell'intero pacchetto linfonodale e mastectomie radicali totali) sotto lieve sedazione.
Inoltre, studi su autorevoli riviste sembrano dimostrare che la preferenza per l'anestesia locoregionale rispetto all'anestesia generale ridurrebbe la cascata di ormoni indotti dallo stress, Ciò ridurrebbe l'immunosoppressione e sembrerebbe svolgere un ruolo importante nella possibilità di metastasi a distanza. Alla fine di questo breve exursus sembra facile allora poter propendere per il blocco di fascia in chirurgia senologica; in realtà la scelta deve sempre tenere conto di diversi fattori: in primis della volontà della paziente ( oltre che da un punto di vista medico- legale, importante che  la paziente venga rassicurata in modo empatico dal professionista), in secondo luogo il grado di esperienza dell’anestesista sia nel praticare il blocco, sia nel raggiungere un buon grado di sedazione ( tale da tenere la paziente in respiro spontaneo con ossigeno), terzo e non ultimo le indicazioni chirurgiche: se il  senologo ritiene che o per durata prolungata dell’ intervento, o perché magari la complessità della malattia è tale da avere sconfigurato la normale anatomia della mammella, ed una iniezione di anestetico locale potrebbe alterare ulteriormente il già compromesso quadro, non vi è ragione per non prediligere una anestesia generale.
Concludiamo perciò dicendo che oggi i blocchi di parete in chirurgia mammaria nella mia pratica clinica hanno di fatto sostituito l'anestesia generale, ma che ancor oggi ricorro ad essa quando necessario, senza eccessivi fanatisimi, considerando in primis sempre il benessere della paziente.

*Dirigente medico Servizio anestesia per la chirurgia polispecialistica in Elezione, T.I.P.O, O.T.I. - Azienda ospedaliera Cardarelli

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