Giovanni ha 36 anni, da almeno otto esercita la professione di avvocato, gli ultimi quattro in uno studio indipendente: e ha fatto richiesta di bonus di seicento euro alla cassa forense. Al Mattino spiega: «Guadagno circa 29mila euro annui, parlo di soldi netti, sono anche io tra i tantissimi colleghi che hanno avanzato richiesta del bonus governativo. Sono di Nola, ho uno studio e dei costi vivi, la mia attività è ferma, reputo questa cifra un contentino inadatto a fronteggiare una crisi epocale che si è abbattuta sulle nostre vite, sulle nostre carriere».
Un caso simile a quello di migliaia di professionisti, prima che sul palazzo di giustizia si estendesse l'ombra lunga del virus. E i numeri tastano il polso del foro napoletano, a distanza di appena pochi giorni dal via libera alle richieste di bonus: fino a sabato erano 16.564 (su 25mila professionisti all'ombra della corte di appello di Napoli) le istanze avanzate alla Cassa forense (16.025 fino a 35mila euro di fatturato); 539 per chi ha raggiunto un fatturato tra i 35mila e i 50mila euro l'anno (che devono in questo caso dimostrare che c'è stata una flessione economica nei primi tre mesi di questo anno, segnati dal corona virus, rispetto agli anni precedenti). Spiega l'avvocato Camillo Cancellario, professionista beneventano e componente del Cda della Cassa forense: «Si tratta di numeri in linea con quanto si registra in altri fori del sud Italia. Napoli, come è noto, non può competere con il mercato presente in altre zone d'Italia, da Roma in su, né è paragonabile alla realtà economica e sociale in cui lavorano i colleghi dei distretti di corte di appello di Milano o di Torino».
Ma la notizia di un esercito di tantissimi professionisti in attesa del bonus di seicento euro ha sollevato non poche perplessità in seno alla categoria, specie da parte di chi prova a collegare la crisi economica di questi giorni con il carattere asfittico del contesto socio economico della nostra area metropolitana.
E non manca chi chiede rigore nel valutare ogni istanza di sussidio. Ci saranno verifiche su ogni pratica - facile a dirsi - dal momento che le richieste sono tracciabili e alla luce del sole. A svolgere il ruolo di filtro spetta alla Cassa forense, a cui toccherà poi il compito di segnalare eventuali richieste sospette alla guardia di finanza. Ma torniamo ai numeri e ai commenti che ha suscitato la notizia del primato negativo raggiunto dal foro napoletano in appena un paio di giorni. Spiega l'avvocato Paolo Cerruti, penalista da oltre quaranta anni: «Una volta eravamo un grande foro, uno dei migliori d'Europa, poi però nel corso degli anni si è consentito l'accesso a tante persone che non hanno preparazione o professionalità. Credo che chi ha diritto alle 600 euro deve essere accontentato, deve avere il sussidio, ma ai miei collaboratori più giovani ho sempre ricordato che fare l'avvocato significa vivere una missione in difesa dei diritti. Essere avvocato non significa necessariamente fare un mestiere per soldi. Un tempo, esisteva una gavetta durissima, dove per anni non guadagnavi niente, la più alta aspirazione era sostenere un'arringa in Corte di Assise. Oggi non è più così.
E bisognerebbe interrogarsi su cosa significa realmente entrare in un'aula di giustizia. Non parlo solo delle nuove generazioni, perché tanti giovani sono rispettosi e preparati, ma di una professione che si sta via via deteriorando. Vedere migliaia di avvocati napoletani mettersi in fila per seicento euro non può che dispiacermi».
Un dibattito che resta aperto e che attende comunque soluzioni governative a stretto giro, per rilanciare al più presto l'attività giudiziaria in tutta Italia, nel tentativo di restituire centralità a un intero mondo professionale.
Spiega il penalista Fabio Foglia Manzillo, in passato esponente della camera penale di Napoli: «Le 16mila istanze presentate finora non sono false.