Bruno Carbone boss convertito all’Islam: «Così sono sopravvissuto nella prigione dei siriani»

Dal lusso di Dubai alla tortura jihadista: tutti i retroscena legati al caso Carbone

Bruno Carbone, il boss convertito all'Islam
Bruno Carbone, il boss convertito all'Islam
di Leandro Del Gaudio
Lunedì 16 Gennaio 2023, 23:45 - Ultimo agg. 18 Gennaio, 07:57
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Anni fa ha assistito alla sua (finta) cattura da una posizione di comodo: era a Dubai, probabilmente all’ombra di una palma o al fresco dell’aria condizionata di un grande hotel. Si accorse che l’Interpol aveva preso un granchio, che avevano arrestato un tizio che non c’entrava niente. Poi di lui si è tornato a parlare appena qualche mese fa, quando è sbarcato a Roma, dopo una prigionia in Siria, una rocambolesca fuga dalla Turchia e un intervento dei nostri apparati investigativi, fino alle manette strette ai polsi dai carabinieri. Eccolo Bruno Carbone, narcos reoconfesso (condannato a 20 anni per droga), oggi pentito. Ha seguito la strada del suo capo, l’ex boss Raffaele Imperiale. Carbone sarebbe stato catturato da una banda di miliziani jiadisti, che controllano il confine tra la Turchia e la Siria. Sarebbe stato torturato, avrebbe subìto minacce fisiche e psicologiche, fino ad approdare a quella che ritiene essere una sorta di svolta della sua vita: la conversione all’Islam, l’adesione incondizionata dei dettami del Corano, che avrebbe avuto un duplice risvolto. 

Una conversione inizialmente strumentale, finalizzata ad abbassare la morsa dei prigionieri, diventata via via sincera, sentita, vissuta. Un racconto che conviene ripercorrere, anche per dare luce al lavoro di intelligence condotto dal nostro Paese, in un territorio da sempre al centro di pressioni politiche e in perenne stato di tensione bellica. 

La svolta nella vita di Carbone arriva nell’estate del 2021, quando viene arrestato Imperiale, boss del narcotraffico per anni custode dei due Van Gogh che erano stati trafugati 20 anni fa dal Museo di Amsterdam.

Carbone si sente seguito, pedinato, braccato. Si trova a Dubai, ma capisce che il suo periodo è finito. Che i tradizionali punti di appoggio sono evaporati, che non potrà più contare sul sistema di protezione ben oliato dai soldi della droga. Ha spiegato Carbone: «Mi sentivo osservato da soggetti strani, che per me erano dei poliziotti. Mi accorsi anche che qualcuno mi scattava foto, capii subito che puntavano ad arrestarmi. Iniziai a noleggiare più auto per percorrere anche pochi chilometri, una volta ho usato anche quattro auto nel corso della stessa giornata; in altre occasioni ho usato il taxi del mare, fino a quando non ho capito che dovevo lasciare la zona». Inizia così una sorta di Odissea, che passerà attraverso mesi di torture, una lunga prigionia e la conversione spirituale: «Ho investito 60mila euro per lasciare Dubai. Sono partito con un jet privato, destinazione Bodrum, accanto a un sultano. Il viaggio mi è costato 60mila euro, una volta sulla costa turca sono rimasto in hotel ad attendere il via libera per una nuova fuga». Viaggiava sotto falsa identità e non era solo. Nomi e ricostruzioni che oggi sono evidentemente al vaglio dei pm di Napoli, anche alla luce del fatto che Carbone ha deciso di seguire le orme di Imperiale sulla strada della collaborazione con la giustizia. 

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Ma torniamo all’avventura in mediorientale. Carbone ha un contatto e, assieme ad altri uomini in fuga, prova ad entrare in Siria, da dove contava - sempre sotto falso nome - di volare per il Sudamerica. Le cose vanno storte. Il suo gancio si rivela poco affidabile, viene catturato da un gruppo di miliziani jihadisti, che si sono proclamati governatori di uno stato autonomo. Inizia l’inferno. La tortura. Chiuso in un container al freddo della notte e caldo rovente del giorno. Assiste alla tortura riservata ad alcuni compagni di sventura ai quali spezzano le gambe e le braccia, attende per ore il suo turno con un mitra puntato alla nuca. Riesce a salvarsi grazie a una serie di espedienti, frutto della straordinaria conoscenza del mondo mediorientale e della buona dimestichezza nella lingua araba: «Mi sono spacciato per ucraino, conoscendo certi equilibri, è stata una mossa vincente; poi ho chiesto il Corano. Mi è servito ad evitare un trattamento disumano. Da quel momento in poi, niente torture e sevizie, all’interno della cella, come se avessi avuto un trattamento di riguardo».

Poi, cosa è accaduto? «Ho iniziato realmente a credere nel Corano. Mi sono convertito, tuttora sono islamico». Fino all’episodio di questa strana storia: «Un giorno mi convocano, mi fanno lavare, mi tagliano i capelli e la barba, poi mi fanno abiti puliti. Ho pensato che fosse giunto il mio momento, purtroppo la scena degli uomini decapitati e filmati era viva in me. Invece sono finito in una sorta di hangar e per la prima volta, dopo mesi, ho sentito parlare italiano. Ho capito che mi avevano liberato». 

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