Anni fa ha assistito alla sua (finta) cattura da una posizione di comodo: era a Dubai, probabilmente all’ombra di una palma o al fresco dell’aria condizionata di un grande hotel. Si accorse che l’Interpol aveva preso un granchio, che avevano arrestato un tizio che non c’entrava niente. Poi di lui si è tornato a parlare appena qualche mese fa, quando è sbarcato a Roma, dopo una prigionia in Siria, una rocambolesca fuga dalla Turchia e un intervento dei nostri apparati investigativi, fino alle manette strette ai polsi dai carabinieri. Eccolo Bruno Carbone, narcos reoconfesso (condannato a 20 anni per droga), oggi pentito. Ha seguito la strada del suo capo, l’ex boss Raffaele Imperiale. Carbone sarebbe stato catturato da una banda di miliziani jiadisti, che controllano il confine tra la Turchia e la Siria. Sarebbe stato torturato, avrebbe subìto minacce fisiche e psicologiche, fino ad approdare a quella che ritiene essere una sorta di svolta della sua vita: la conversione all’Islam, l’adesione incondizionata dei dettami del Corano, che avrebbe avuto un duplice risvolto.
Una conversione inizialmente strumentale, finalizzata ad abbassare la morsa dei prigionieri, diventata via via sincera, sentita, vissuta. Un racconto che conviene ripercorrere, anche per dare luce al lavoro di intelligence condotto dal nostro Paese, in un territorio da sempre al centro di pressioni politiche e in perenne stato di tensione bellica.
La svolta nella vita di Carbone arriva nell’estate del 2021, quando viene arrestato Imperiale, boss del narcotraffico per anni custode dei due Van Gogh che erano stati trafugati 20 anni fa dal Museo di Amsterdam.
Ma torniamo all’avventura in mediorientale. Carbone ha un contatto e, assieme ad altri uomini in fuga, prova ad entrare in Siria, da dove contava - sempre sotto falso nome - di volare per il Sudamerica. Le cose vanno storte. Il suo gancio si rivela poco affidabile, viene catturato da un gruppo di miliziani jihadisti, che si sono proclamati governatori di uno stato autonomo. Inizia l’inferno. La tortura. Chiuso in un container al freddo della notte e caldo rovente del giorno. Assiste alla tortura riservata ad alcuni compagni di sventura ai quali spezzano le gambe e le braccia, attende per ore il suo turno con un mitra puntato alla nuca. Riesce a salvarsi grazie a una serie di espedienti, frutto della straordinaria conoscenza del mondo mediorientale e della buona dimestichezza nella lingua araba: «Mi sono spacciato per ucraino, conoscendo certi equilibri, è stata una mossa vincente; poi ho chiesto il Corano. Mi è servito ad evitare un trattamento disumano. Da quel momento in poi, niente torture e sevizie, all’interno della cella, come se avessi avuto un trattamento di riguardo».
Poi, cosa è accaduto? «Ho iniziato realmente a credere nel Corano. Mi sono convertito, tuttora sono islamico». Fino all’episodio di questa strana storia: «Un giorno mi convocano, mi fanno lavare, mi tagliano i capelli e la barba, poi mi fanno abiti puliti. Ho pensato che fosse giunto il mio momento, purtroppo la scena degli uomini decapitati e filmati era viva in me. Invece sono finito in una sorta di hangar e per la prima volta, dopo mesi, ho sentito parlare italiano. Ho capito che mi avevano liberato».