Valentino Gionta, l'ultimo boss degli anni '80: dal carcere duro continua a controllare il clan

Valentino Gionta, l'ultimo boss degli anni '80: dal carcere duro continua a controllare il clan
di Gigi Di Fiore
Martedì 30 Novembre 2021, 23:59 - Ultimo agg. 2 Dicembre, 09:00
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È l’ultimo irriducibile boss della camorra, tra quelli che insanguinarono la Campania negli anni ’80 del secolo scorso. A 68 anni, detenuto a Novara con un «fine pena mai», Valentino Gionta continua a dare indicazioni ai suoi familiari. L’ultima ordinanza cautelare che lo coinvolge lo conferma. Nonostante sappia bene che un detenuto al carcere duro come lui sia controllato, intercettato, registrato, lancia a moglie e figlia segnali. «Comando sempre io nel palazzo» dice, riferendosi al suo vecchio bunker di Palazzo Fienga ormai confiscato. E alla moglie Gemma Donnarumma detta indicazioni: «Ricordati che, quando esci, tu sei comunque mia moglie».

In ballo c’è la leadership criminale su Torre Annunziata, dove alza la testa il nuovo clan del «iv sistema» che lo sorso anno ha ferito in un agguato Giuseppe Carpentieri, genero di Valentino Gionta. E il boss in carcere, noncurante delle intercettazioni da 41-bis, si informa sull’agguato, cerca di capirne le complicità. Gli inquirenti sono convinti che abbia pensato a una reazione violenta. In linea con chi ha un peso criminale che viene da lontano. Dalla generazioni di Lorenzo Nuvoletta, morto nel 1994, o di Carmine Alfieri e Pasquale Galasso, collaboratori di giustizia ora liberi, o ancora di Antonio Bardellino e Raffaele Cutolo, ormai scomparsi. Una generazione in rapporti con i boss di Cosa nostra in Sicilia, che si era affermata con il contrabbando di sigarette prima e la vendita della droga poi.

Con il padre Aldo, Valentino aveva una piccola pescheria nel mercato ittico torrese. Un’attività che mascherava quella più redditizia del contrabbando di sigarette. Un affare, in società con i Nuvoletta di Marano, gli unici a sedere nella commissione centrale di Cosa nostra come referenti campani. Un’attività finanziata anche dai siciliani, con oltre 20 scafi in movimento dalle coste albanesi e jugoslave. Ha 29 anni Valentino Gionta, quando viene arrestato con il padre. Gli trovano in casa qualcosa come 149 milioni di lire in contanti. E lui, come scriveranno i magistrati, «tende a porsi come un vero capo lanciando messaggi». Già allora. Ma è cosciente che è sotto l’ala protettiva della potente famiglia mafiosa dei Nuvoletta, di cui diventa un capozona a Torre Annunziata, Boscoreale e Boscotrecase mentre è al termine la guerra contro i cutoliani. Il passaggio all’affiliazione a Cosa nostra è quasi fisiologico. La «pungitura» avviene a Marano. Valentino Gionta diventa «uomo d’onore di mafia» attraverso Angelo Nuvoletta. Lo raccontò il pentito Carmine Schiavone. 

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Dal contrabbando di sigarette alla vendita all’ingrosso di cocaina, in collegamento con Mariano Agate, padrino di Mazara del Vallo. Avrebbe spiegato il pentito Salvatore Migliorino: «A Torre Annunziata scegliemmo di vendere cocaina e non eroina, perché era più smerciabile e distruggeva di meno». Ormai quella dei Gionta di Palazzo Fienga è una famiglia mafiosa. Così identificata nel suo boss, che la cosca viene definita dei «Valentini», come il nome di battesimo del capo. La guerra tra i vincenti contro Cutolo travolge Gionta, alleato di Nuvoletta contro gli Alfieri-Bardellino. È il boss dei «casertani» ad avere gruppi di fuoco in grado di eseguire la duplice «azione eclatante» contro i «nemici». Prima l’irruzione a Poggio Vallesana a Marano, il regno di Lorenzo Nuvoletta, il 10 giugno 1984 con l’uccisione di Ciro Nuvoletta. Poi, l’assalto al circolo dei pescatori a Torre Annunziata il 26 agosto successivo, con otto morti e sette feriti. La guerra finirà, sul piatto della pace viene messa la testa di Valentino Gionta «venduto» dai Nuvoletta con una soffiata anonima ai carabinieri che lo arrestano. Una verità scritta da Giancarlo Siani, che i Nuvoletta fanno uccidere perché l’articolo sul «Mattino» li fa diventare «infami» nei confronti del loro figlioccio di Torre Annunziata. 

Per l’omicidio Siani, dopo ben tre sentenze di Cassazione Valentino Gionta viene assolto. Risolutive le dichiarazioni dei pentiti, che raccontano come, dal carcere di Ascoli, diede sempre parere contrario all’omicidio del giornalista, ma poi si arrese ai Nuvoletta: «Fate come volete, ma vi chiedo solo di non farlo a Torre Annunziata, perché se succede lì mi distruggete».Uscì dal carcere, poi ci è tornato definitivamente il 19 febbraio del 1991. Era latitante in un soppalco murato a Palazzo Fienga. Da allora è dietro le sbarre, ha visto pentirsi i boss che lo avevano sconfitto con le armi, scomparire Bardellino, morire Nuvoletta e anche Cutolo per malattie. Ma non si è pentito, guarda ancora dal carcere di Novara alle vicende criminali di Torre Annunziata. Rispettato dai figli detenuti Aldo «il poeta», Pasquale «’o chiatto», Teresa.

Probabilmente, ne rispettano ammirati la fermezza, che resiste al carcere duro. Una fermezza che non ha il figlio Aldo, «il poeta», che ha scritto versi, una canzone e persino una commedia esprimendo il suo malessere di detenuto. Il boss ha resistito ai pentimenti familiari. Ma ha avuto sempre vicino, con le stesse idee criminali e di potere costruito con sangue e reati, la moglie Gemma Donnarumma. In famiglia sanno che, anche in carcere, la parola del boss va rispettata. Anche se intercettata.

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