Il kappaò più grande del pugile Aurino: campione europeo in cella per spaccio

Il kappaò più grande del pugile Aurino: campione europeo in cella per spaccio
di Maurizio Sannino
Domenica 17 Novembre 2019, 08:30 - Ultimo agg. 10:47
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Si presentò all'ingresso della palestra Boxe vesuviana, cercò con lo sguardo sognante lui, il maestro Lucio che in quel quartiere era considerato una sorta di guida sportiva e padre spirituale, la salvezza di tante mamme speranzose di distogliere i propri figli dalle insidie della strada e da un destino quasi segnato in uno spicchio di territorio mortificato da degrado e abbandono. «Voglio praticare questo sport. Voglio fare boxe». Aveva soltanto 13 anni, ma dimostrava già la personalità di un uomo determinato. Uno sguardo di intesa con il maestro che non aspettava altro che incrociare sul suo cammino l'ennesimo ragazzino da salvare proveniente dalla «Provolera», ossia la Polveriera, uno dei rioni più antichi e fatiscenti di Torre Annunziata. Cominciò così la carriera di Pietro Aurino. Era il 1988. Quel mancino e l'eleganza sul ring colpirono subito. Grande scelta di tempo e varietà di colpi, nessuno sapeva come affrontarlo perchè, non dava punti di riferimento. Neanche la più fervida immaginazione del maestro Lucio Zurlo poteva però immaginare che quel ragazzino si sarebbe trasformato nella croce e delizia della boxe vesuviana. La delizia si incarnava nel più grande talento del mondo della boxe italiana dai tempi di Nino Benvenuti. Pietro a 21 anni diventa professionista: combatte 41 incontri collezionando 38 vittorie delle quali 16 prima del limite. Poi successi in serie, diventa campione europeo, sfiora il titolo mondiale e sale sul ring ai Giochi di Atlanta del 1996.

La grande imprevedibilità che dimostrava sul ring, però, gli faceva compagnia anche nella vita. E qui si manifesta la croce: nella sua vita non proprio irreprensibile una volta tolti i guantoni. Una sorta di retaggio culturale al quale Pietro non è riuscito a sfuggire. È il 2007 quando, già campione europeo e sfidante mondiale nei massimi leggeri, viene arrestato per concorso esterno in associazione camorristica, spaccio e traffico d'armi: prende dieci anni, poi ridotti a otto. Per i giudici è uno dei referenti dello spaccio gestito dal clan Gionta alla Provolera. Finisce di scontare la pena nel 2016, pochi mesi dopo torna a combattere. Ma non è finita. L'ex pugile, ora 44enne, due giorni fa viene arrestato per spaccio di sostanze stupefacenti insieme al fratello Salvatore e alla cognata Marianeve Longobardi. Nella loro casa alla Provolera c'erano tutti gli strumenti necessari per confezionare dosi, e secondo gli investigatori il gruppetto spacciava coca, erba e anche crack.

Nessuna parola di condanna arriva dalla struttura diretta da Zurlo. Soltanto sgomento, incredulità e tanta rabbia: «Era il Maradona dei pugili - ribadisce il maestro - un grandissimo talento che poteva fare molto di più della splendida carriera che ha fatto. Pietro è il mio più grande rimpianto di educatore e di maestro di boxe. Sono riuscito a distogliere tanti ragazzi dalle insidie della strada e di un territorio difficile come il nostro. Purtroppo con Pietro ho fallito. E questo mi fa molto male». Gli fa eco il figlio Biagio: «Siamo rimasti molto male alla notizia dell'arresto. Anche se non lo vedevamo da tempo, Pietro è un pezzo di storia della nostra palestra dove è cresciuto. La nostra è una grande famiglia, e quando accade una cosa del genere siamo tutti coinvolti emotivamente».

Biagio Zurlo rivendica con orgoglio il ruolo della palestra nella quale, sottolinea, «continuiamo a svolgere attività sociale e di prevenzione: siamo un punto di riferimento per il riscatto di tanti giovani torresi». Giacobbe Fragomeni, ex campione del mondo, lancia un messaggio ad Aurino: «Anche io - dice sono caduto e mi sono rialzato tante volte grazie alla boxe.

Sono uscito dalla droga con grande forza di volontà cominciando un viaggio interiore che continua ancora oggi. Per cambiare bisogna volerlo. Pensando a mia moglie e ai miei figli ho voluto fortemente dire basta con quella vita. Perciò rivolgo un invito a Pietro. Nel momento in cui risolve i suoi problemi con la giustizia lo aspetto nella mia palestra, a Milano, per ricominciare esattamente da dove aveva lasciato».

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