Calcio e scommesse, Il calciatore Izzo: «Io, i miei cugini killer e il no alla combine»

Calcio e scommesse, Il calciatore Izzo: «Io, i miei cugini killer e il no alla combine»
di Leandro Del Gaudio
Giovedì 4 Febbraio 2021, 23:55 - Ultimo agg. 5 Febbraio, 11:45
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Ricorda il giorno in cui acquistó il primo paio di scarpe griffate, ma anche gli insegnamenti del suo antico maestro, lì nella scuola calcio di Scampia, a pochi passi dalla sua casa del lotto g. Ricorda i volti della sua infanzia, quella di amici e parenti che hanno macchiato la cronaca cittadina dei peggiori fatti di nera - dai fratelli Accurso ai Petriccione - ma anche il sogno di volare via da questa Napoli (quella della Vinella Grassi e della sua faida infinita), grazie al suo talento calcistico, che gli ha consentito di spazzare via forte il pallone dall’area di rigore, quando la situazione si faceva confusa sotto porta. Ed è sempre stato nelle situazioni confuse che lui - parliamo del difensore del Torino Armando Izzo -, ha sempre avuto chiara una promessa fatta al padre, pochi giorni prima della sua morte: «Ero ancora un ragazzino, quando promisi a mio padre che gli avrei portato la maglia del Napoli sulla sua tomba. Perché era questo il mio sogno, il nostro sogno, quello di arrivare a giocare per la serie a».


Aula 216, tribunale di Napoli, Armando Izzo risponde alle domande del pm Maurizio De Marco, che lo ha indagato per presunti contatti con la camorra di Secondigliano e Scampia, in relazione all’ipotesi di combine nel corso della partita di campionato Modena-Avellino (squadra dove ha militato prima di passare al Genoa e al Torino e indossare anche la maglia della nazionale). Un processo che nasce dalle accuse rese da uno degli amici di infanzia di Izzo. Si chiama Antonio Accurso ed è un ex killer dei «girati», fratello di Umberto Accurso, che sta invece scontando l’ergastolo omicidio e camorra. I nomi della faida, di gomorra. Geografia criminale su cui è stato interrogato izzo, in una vicenda di calcio scommesse e camorra. 

Modena-Avellino, dunque, uno a zero per i padroni di casa. Come andò a finire? Serie B, era il 17 marzo 2014, quel giorno Izzo non toccó palla, nel senso che non scese proprio in campo: rimase in panchina, sollevando anche i malumori della tifoseria irpina (quell’anno il club campano puntava ai play off), in un crescendo di tensione nervosa che in parte venne captato grazie alle cimici piazzate dalla Dda di Napoli. Ma torniamo a quella panchina, al motivo per il quale Izzo decise di defilarsi, di non scendere in campo. Difeso dai penalisti Stefano Montone, Rino Nugnes e Alfredo Capuano, Izzo ammette di aver simulato un risentimento muscolare, pur di non trovarsi in difficoltà, pur di rimanere fuori da un match su cui la peggiore camorra di Secondigliano aveva piazzato i propri artigli (e capitali): «Ho simulato un infortunio - dice - in realtà, ho simulato per non essere coinvolto in una combine».

È una parziale ammissione da parte del difensore che sostiene di aver sempre mentito su questo punto per non subire intoppi sotto il profilo delle inchieste sportive, negando qualsiasi contributo illegale (sia da un punto di vista penale sia disciplinare). Ma come aveva percepito che in quella occasione non era opportuno scendere in campo? «Ero a Secondigliano, a casa della mamma, ricevo una chiamata da Luca Pini, un collega calciatore che faceva anche il gioielliere, che doveva consegnarmi delle collane per moglie e figli, con lui c’era Salvatore Russo detto Geremia.

Mi portano in un ristorante, dove trovo Millesi con i fratelli Accurso ma anche altre due persone che non ricordo bene. Loro mi dissero di accordarmi, ma a me quel raduno mi puzzava, vidi un’aria strana al punto tale che dopo una trentina di minuti presi un taxi e andai via. Mi limitai a dire devo stare tranquillo. Non sentii cose particolari, ma intuii che si trattava di qualcosa di strano, perché vedevo Millesi e gli Accurso».


Ma non è stato l’unico incontro ravvicinato con la sua infanzia. Qualche tempo prima, quando aveva solo 18 anni, venne raggiunto a Trieste, dove - dice con orgoglio - «giocai tutte le partite di andata (segnando due gol) prima di andare in B. Vennero da me (dice senza ricordare i nomi) mi dissero che volevano truccare le partite, io dissi solo che volevo fare carriera, negando il mio contributo: fu allora che pensai alla promessa fatta a mio padre e alla mia infanzia nel lotto g». 

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