Camera di Commercio di Napoli, ecco la parentopoli: «Docenze fittizie a familiari e amici»

Camera di Commercio di Napoli, ecco la parentopoli: «Docenze fittizie a familiari e amici»
di Pierluigi Frattasi
Venerdì 20 Aprile 2018, 07:00 - Ultimo agg. 23:03
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Seminari fantasma, «esperti di settore» per i corsi scelti tra parenti e amici, fatture di pagamento dei docenti fittizie. C'è di tutto nell'inchiesta della Corte dei Conti della Campania sulla Camera di Commercio di Napoli sulla «truffa dei contributi» ad associazioni e imprese che poi non hanno svolto le prestazioni promesse. Appare centrale nell'indagine dei pm Ferruccio Capalbo e Chiara Vetro, condotta con l'ausilio dei militari dalla Guardia di Finanza, il ruolo di Unimpresa, associazione presieduta da Paolo Longobardi, che rappresenta piccole e medie imprese, diffusa in tutto il Paese e strutturata anche a livello locale. Secondo la magistratura contabile, che mercoledì ha emesso una sentenza di condanna per 1,7 milioni di danno erariale, che chiama in causa anche Longobardi, le maggiori criticità rilevate sull'assegnazione dei contributi dell'ente camerale «sono relative proprio ai progetti riferibili a Unimpresa».

Attorno all'associazione, secondo i giudici, ruota un coacervo di società ed enti minori collegati. In alcuni casi attivi nel settore della formazione. «Dalla Safin spa, con capitale sociale per il 50% in mano a Paolo Longobardi e per il 50% diviso tra i figli Vincenzo e Anna, che risultava amministrata da Vincenzo, mentre Paolo era procuratore. Alla Centro Servizi Snc, affidata alle cure dirette di Paolo, presidente Unimpresa». «Tali entità societarie - sottolineano i giudici - per quanto formalmente diverse e separate da Unimpresa, in realtà espressione di un unico centro di interessi». Si aggiungono poi enti minori collegati come l'Istituto Centrale di Formazione di Unimpresa o Uniapi Servizi di Unimpresa.
 

Il peso dei Longobardi nella Camera di Commercio di Napoli aumenta a partire dal 2008, a seguito del rinnovo del Consiglio camerale. Secondo i giudici, l'ingresso di Vincenzo Longobardi nel Consiglio e poi nella Giunta camerale «sarebbe stato propiziato dalla falsa attestazione del numero di imprese associate a Unimpresa in regola con i pagamenti dei contributi associativi: al 31 dicembre 2017 9.625 aziende secondo i dati forniti al ministero, 757 secondo gli accertamenti successivi della Finanza». La nomina dei componenti della Giunta e Consiglio, infatti, avveniva in base alla maggiore rappresentatività delle associazioni.

Tra le attività sotto esame dei giudici, quindi, sono finiti i corsi di formazione e i seminari finanziati con i contributi della Cciaa. La procedura era quasi sempre la stessa: il reclutamento delle imprese partecipanti, seminari dedicati e la costituzione di sportelli informativi. Ma dall'analisi dei costi rendicontati, le indagini hanno appurato che queste iniziative non si sono mai tenute.

Emblematica la procedura per selezionare i cosiddetti «esperti di settore», di materie specialistiche come la finanza, «a dispetto degli impegni assunti con la Cciaa di Napoli, i criteri che sembrano avere ispirato Unimpresa nella individuazione delle persone cui affidare l'esecuzione di tali delicate fasi progettuali non sembrano essere stati quelli della capacità e dell'esperienza, quanto piuttosto quelli del familismo e della fedeltà all'azienda. Invero, trattandosi di progetti fittizi, esistiti sulla carta e mai concretamente realizzati, tale scelta si spiega con l'esigenza di riempire delle caselle (di relatore, coordinatore, operatore di sportello, docente) con persone (talvolta ignare ma comunque) di fiducia dei vertici di Unimpresa». Quindi spazio a mogli, figli, cognati, nipoti, fratelli o collaboratori. «Naturalmente - commentano i giudici - se in linea generale non si può escludere a priori la possibilità di reperire dei riconosciuti esperti di una determinata materia anche tra persone legate da rapporto di parentela, amicizia o colleganza, ciò non toglie che nel caso concreto, anche alla luce di quanto osservato (false ricevute di pagamento, fatture fittizie, assegni contraffatti) la scelta delle persone da inserire nei progetti di Unimpresa sembra essere stata ispirata più da logiche di appartenenza che da una schietta e genuina volontà di offrire alle imprese un servizio di informazione e consulenza all'altezza di quanto invece promesso dalla Cciaa di Napoli».

C'è poi il caso dei docenti dei seminari a loro insaputa.

Nelle attestazioni di pagamento di Unimpresa per le prestazioni rilasciate per i seminari figurano compensi anche elevati: tra i 2mila e i 2.700 euro a corso per un totale di circa 73mila euro per 30 corsi, ad esempio. Ma i relatori, interrogati dalla Guardia di Finanza, hanno dichiarato di non aver mai tenuto quelle lezioni. E, secondo i giudici, «in generale quasi tutte le attestazioni di pagamento predisposte da Unimpresa erano volte a conseguire illecitamente finanziamenti pubblici ai danni della Cciaa di Napoli».

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