Camorra al Vomero, il ricatto al panificio: «Cinquemila euro al mese e 10 cents per ogni chilo di pane venduto»

Camorra al Vomero, il ricatto al panificio: «Cinquemila euro al mese e 10 cents per ogni chilo di pane venduto»
di Luigi Sabino
Mercoledì 27 Luglio 2022, 11:00 - Ultimo agg. 28 Luglio, 08:05
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Cinquemila euro al mese più dieci centesimi su ogni chilo di pane venduto. Era questa la richiesta estorsiva avanzata nei confronti di un imprenditore di Miano e della sua compagna dagli appartenenti a un sodalizio criminale considerato una derivazione della cosca Lo Russo. Una brutta storia emersa grazie a un'operazione congiunta dei carabinieri della compagnia Vomero e dei poliziotti della Squadra Mobile di Napoli e del commissariato Scampia che, ieri mattina, su indicazione della Dda, hanno eseguito il fermo di otto persone, tutte appartenenti al sodalizio malavitoso. 

Un'indagine iniziata quando le vittime, ormai stanche delle continue vessazioni e dalle sempre più esose richieste di denaro, hanno deciso di chiedere aiuto agli uomini dell'Arma. Un racconto lucido, quello ascoltato dai carabinieri, che, tassello dopo tassello, ha permesso di ricostruire l'intero mosaico investigativo che ha portato alla disarticolazione del gruppo. A finire in manette, si legge nel provvedimento di fermo, alcuni storici affiliati ai Lo Russo, come Giovanni Perfetto, alias 'o mostro, e Salvatore Di Vaio detto 'o cavallo, da anni ritenuti gli esattori della camorra di Miano. Insieme a loro sono state fermate giovanissime leve, affiliati poco più che adolescenti ma già in grado di incutere timore nell'intero quartiere. Si tratta di Cesare Duro, Alessandro Festa, Cosimo Napoleone, Vincenzo Pagliaro, Fabio Pecoraro e Raffaele Petriccione.

Un vero e proprio incubo quello vissuto dalle vittime che inizia alla fine dello scorso febbraio, poche settimane dopo gli omicidi di Salvatore Di Napoli e Pasquale Torre, il duplice delitto che ridisegna la geografia criminale di Miano. Comincia tutto in via Labriola quando due degli indagati, Duro e Pecoraro, fermano la compagna dell'imprenditore finito nel mirino del sodalizio. Poche parole, quasi sussurrate, ma che non lasciano spazio a fraintendimenti. «Devi dire a tuo marito che da oggi, qui, comandiamo noi e che se vuole stare tranquillo ci deve dare tremila euro ogni fine mese che ci servono i soldi per pagare le mesate alle mogli dei carcerati». Richiesta che, il giorno dopo, è seguita da minacce telefoniche che alla fine spingono la coppia a consegnare il denaro richiesto agli estorsori. Lo stesso accade nel mese successivo dopo che la donna viene nuovamente avvicinata e minacciata dai componenti dell'organizzazione criminale. Le consegne dei soldi, su espressa richiesta degli indagati, dovevano avvenire in un bar di Miano che la donna, incaricata di fare la fattorina, doveva raggiungere a piedi. I due coniugi, come racconteranno ai carabinieri, piegano la testa anche perché loro, sin da quando lavorano nel cosiddetto giro del pane, hanno sempre pagato la camorra. 

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Questa volta, però, è diverso perché gli appetiti della cosca crescono sempre di più e le vittime se ne accorgono nel mese di maggio. È sempre la donna ad essere avvicinata ma, in quest'occasione, gli emissari del sistema non chiedono soldi ma vogliono che riferisca al suo compagno che il clan vuole incontrarlo. L'uomo non può fare altro che accettare. L'appuntamento è sempre dinanzi al solito bar da dove, però, viene accompagnato a casa di Di Vaio. Oltre a 'o cavallo, all'incontro sono presenti diversi altri indagati. A parlare è Pecoraro. «Da ora in poi è aumentata la tassa perché abbiamo troppi carcerati da mantenere. Ogni mese dovrai darci cinquemila euro per le mesate e dieci centesimi per ogni chilo di pane venduto». Il tentativo della vittima di spiegare che non ha tanti soldi non fa altro che peggiorare la situazione. «Se non paghi il giro del pane lo prendiamo noti e a te ti togliamo di mezzo» è la risposta. La situazione non cambia nemmeno poche ore dopo quando la vittima, dopo una nuova convocazione, si trova a casa di Perfetto. L'incontro dura pochi minuti e serve solo a ribadire le richieste della cosca. In meno di tre giorni le vittime versano nelle casse del sodalizio più di diecimila euro. L'ultimo pagamento a inizio giugno quando consegnano duemila euro come acconto sui cinquemila richiesti. Una dilazione che non piace alla cosca. I ras vogliono tutto il denaro e lo vogliono subito. Le minacce si fanno più pressanti e non sono rivolte solo all'imprenditore e alla sua compagna. Anche un fattorino è avvicinato dal clan così come un cliente. Devono riferire alle vittime che devono pagare. Pressioni che, però, ed è quello che la cosca non si aspetta, non sortiscono l'effetto sperato perché le vittime, ormai esasperate, decidono di chiedere aiuto ai carabinieri. Aiuto che si concretizza, grazie a un'indagine lampo, nel fermo di tutti gli aguzzini. 

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