Napoli, l'ex killer della camorra: «Basta falsi miti, parlerò nelle scuole»

Napoli, l'ex killer della camorra: «Basta falsi miti, parlerò nelle scuole»
di Giuliana Covella
Domenica 18 Aprile 2021, 09:30 - Ultimo agg. 18:46
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«Ai ragazzi che oggi percorrono strade sbagliate, finendo col pagare con la vita le loro scelte, dico: non inseguite falsi miti come la camorra. Il finale è uno ed è già scritto: vi porterà alla morte». Riflette a voce alta Gennaro Panzuto, detto Genny, mentre ripercorre il passato che s'intreccia col presente a ridosso dei pontili di Mergellina. Laddove, da boss e «braccio armato» dei Piccirillo, era il terrore degli ormeggiatori che con l'inizio della bella stagione dovevano versare il pizzo nella casse del clan. «Questo è il posto più redditizio per la camorra, dato che ogni pontile versa la sua quota alla cosca di riferimento». Oggi, a 46 anni e padre di 8 figli («la prima ha 26 anni e l'ultimo ne ha 10»), dopo 14 anni da collaboratore di giustizia, Panzuto è tornato nella sua città d'origine e nel quartiere dove ha comandato sin da quando era poco più che ventenne, la Torretta, per lanciare un messaggio di riscatto e «redenzione» sia ai ragazzi come Ugo Russo e Luigi Caiafa, giovani vite spezzate per aver intrapreso una carriera criminale, sia alle donne, «le prime che hanno il compito di educare i tanti Ugo e Luigi che in questa città sembrano erroneamente non avere alternative». Ma anche agli imprenditori che sono vittime del racket: «Denunciate, andate alla polizia. Dimostrate qual è la parte sana di Napoli». 

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Qual è anzitutto oggi il suo status?
«Da pochi mesi sono fuoriuscito dal programma di protezione per i collaboratori di giustizia.

Dna e Dda hanno ritenuto che non sussistessero più pericoli, quindi sono tornato a Napoli, dove risiedo nel mio quartiere, la Torretta».

Cioè è tornato dove è nato e cresciuto?
«Non esattamente. La casa dove sono nato, al civico 12 di vico delle Fiorentine a Chiaia c'è ancora, ma la mia famiglia non abita più lì. Ovviamente sono legato a questi luoghi, dove da piccolo scugnizzo tiravo calci ad un pallone in mezzo al vicolo».

Quando ha iniziato a delinquere?
«A 13 anni. Rapinavo Rolex insieme ad altri amici miei coetanei, di cui qualcuno oggi è morto».

E la scuola?
«Ho frequentato fino alla terza media alla De Sanctis, ma ero pigro e non ero invogliato».

Cosa intende dire?
«Una volta, alle elementari, la maestra ci diede un tema: Descrivi cosa vuoi fare da grande. Io scrissi il contrabbandiere. Nessuno mi disse niente, per me quelli erano i modelli. Credevo non vi fossero alternative e scelsi la strada sbagliata, come oggi fanno purtroppo tanti giovani di questa città».

Come Ugo Russo e Luigi Caiafa?
«Purtroppo sì. Quando penso che quelle giovani vite potevano essere salvate rabbrividisco. Rivedo me alla loro età. Io non ho avuto nessuno che mi offrisse una opportunità. Loro e i coetanei dovrebbero averla. Non bastano i murales per ricordarli. Dobbiamo fare in modo da non piangere più questi morti ragazzini».

Ripercorriamo la sua ascesa criminale.
«Fino al 2008, quando ho deciso di collaborare, ero al 41bis nel carcere di Viterbo per omicidio e associazione per delinquere di stampo camorristico. Dopo aver esordito da rapinatore, nei primi anni 90 ho iniziato a lavorare con mio zio Rosario Piccirillo, che era a capo dell'omonimo clan. Da killer poi sono passato a capo dell'organizzazione».

Quanti omicidi ha commesso?
«Tantissimi. Non li conto più. Mi dicevano in gergo che avevo il grilletto facile. Ricordo ancora i pianti dei bambini e le urla delle donne quando andavo su un posto per ammazzare qualcuno. Ma oggi sono cambiato e voglio aiutare i giovani a non fare i miei stessi errori. Vivere secondo regole che sono sbagliate a lungo andare non paga e procura solo sofferenza a te e agli altri».

Come ha accolto il quartiere il suo ritorno?
«C'è la parte sana che mi vede ancora come un falso mito e questo mi rattrista. Piuttosto faccio un appello ai commercianti e agli ormeggiatori: ribellatevi a questi cialtroni camorristi che in modo ingiusto vogliono approvvigionarsi dei vostri sacrifici. Molti imprenditori mi chiedono aiuto e li invito a denunciare».

Non ha paura?
«No, perché non sono rientrato a Napoli per tornare al passato. Perciò ai giovani dico: siate contro i camorristi. E alle mamme, alle nonne e alle sorelle, che hanno influenza sui ragazzi: parlate con loro, spiegando che la criminalità è solo un falso mito. Napoli oggi è diventata il set naturale di Gomorra per tanti minori che imitano goffamente i personaggi della serie. Così si finisce col morire a 15 anni per una rapina, come quei ragazzini a cui sono dedicati i murales. Centri sociali, sportivi ed educativi per i giovani: questo serve. Ecco perché voglio andare nelle scuole a parlare agli studenti, perché se posso salvarne anche solo due, per me sarà già tanto».

Cosa vorrebbe per il futuro di questa città?
«Un'amministrazione che la ami. Napoli e i suoi giovani meritano di più». 

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