Feste di camorra con neomelodici,
la Procura: sistema di riciclaggio

Feste di camorra con neomelodici, la Procura: sistema di riciclaggio
di Gigi Di Fiore
Domenica 3 Novembre 2019, 23:00 - Ultimo agg. 4 Novembre, 11:33
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«Chill va pazz pe tte, te pens sempe, chill va pazz pe tte, nun s’annamor» cantava a metà degli anni ’90 Ciro Ricci. Quel pezzo, di successo nel mondo neomelodico e non, fu inserito dal regista Antonio Capuano anche nella colonna sonora del suo film «Pianese Nunzio, 14 anni a maggio». Testo, ma nei titoli di coda non compariva, di Lovigino Giuliano capoclan di Forcella con il pallino della musica e del suo potere simbolico. Per farsi riconoscere i diritti d’autore alla Siae, Lovigino, oggi collaboratore di giustizia residente nell’Italia centrale, avviò addirittura una causa civile.




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Nel quartiere-Stato dei Giuliano, nevralgico negli equilibri camorristici della Napoli del secondo dopoguerra, il manager musicale per antonomasia era Luigi Ponticelli, manco a dire cognato di Lovigino. Lo chiamavano «Giggino ‘a Bomboletta» per il suo uso eccessivo di lacca nei capelli. La storia racconta che fu tra i primi manager delle star neomelodiche, dei cantanti che allietavano feste di piazza, matrimoni, battesimi di boss e affiliati. La Phonosud era la sua etichetta e vi passò anche un giovanissimo Gigi D’Alessio che avrebbe poi cantato un paio di pezzi con testi proprio di Lovigino tra cui la famosa «Cient’anne». Nel ricordare quel periodo, Gigi D’Alessio ha raccontato a Peter Gomez: «Ho regalato alla camorra un sacco di canzoni, chi nasce a Napoli e canta, va a fare i matrimoni in circuiti che non esistono altrove. Se qualcuno ti chiamava, non è che gli chiedevi il certificato penale».



Da pentito, Lovigino continua a scrivere canzoni e le posta su Youtube. Ma il mondo neomelodico, dove sono cresciuti anche artisti di talento, è realtà in chiaroscuro su cui anche il procuratore capo di Napoli, Gianni Melillo, fece cenno nella sua audizione del 24 ottobre scorso alla commissione parlamentare antimafia. Disse Melillo: «Non sono un esperto di musica neomelodica e ne ho una conoscenza assai limitata, ma è un fenomeno antico e mi ricordo, ad esempio, che l’Unità diffuse un disco che si chiamava “La musica nei vicoli” in cui tra le canzoni ne figurava una scritta da Luigi Giuliano. Senza volermi pronunciare sulle doti artistiche delle persone che ho citato, è un dato di fatto che le industrie di beni immateriali siano geneticamente connotate da un’intrinseca attitudine a prestarsi a operazioni di riciclaggio».

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Una realtà sotto i riflettori, di cui si è occupata anche una recente inchiesta di Fanpage. Una realtà dalle radici antiche, se già nel 2007 il professore Marcello Ravveduto, docente di Public history a Salerno, se ne occupò nel suo libro «Serenata calibro nove». E spiega Ravveduto: «Oggi questa realtà è diventata strumento di visibilità. Trenta-quaranta anni fa, la camorra speculava nel mercato del falso e del contrabbando di dischi e musicassette. Oggi, in un mondo dove i veicoli distributivi sono in Rete, la canzone neomelodica non è per i clan fonte di guadagni di rilievo, ma mezzo di diffusione ideologica di valori di marginalità e delinquenza orgogliosa della sua identità».

Ma c’è ancora un mondo di giovani e giovanissimi con il mito del successo da cantante, nati in realtà emarginate di quartiere di cui raccontano le storie. E molti manager erano imparentati con capoclan. Come Carmine Sarno di Ponticelli, detto ’o topolino, fratello del boss pentito Ciro. Fu lui a lanciare il neomelodico Alessio che compare nelle dichiarazioni del pentito Ciro Niglio.

«Nella festa del 2010 Ciro Abrunzo, ucciso nel 2012, regalò il cantante Alessio al giglio Insuperabile. Il cantante corrispondeva solitamente una quota del suo cachet al clan degli scissionisti. Ricordo che nel 2010 Alessio e l’altro cantante Babà dedicarono una canzone alla madre e alla sorella del capoclan Angelo Cuccaro» ha dichiarato Niglio. Il pentito Luca Menna ha invece elencato piccole tv libere, etichette e ripartizioni tra clan di giovani cantanti, «a libretto» (organici con divisione di cachet e serate), e «cavallucci» sostenuti a serata: «Questo sistema è utilizzato da tutti i clan della camorra, compreso il nostro clan Amato-Pagano, che investe nei cantanti neomelodici; ossia gli fanno regali in soldi, li invitano alle feste di piazza che il clan organizza nei quartieri controllati, sino a pagargli la registrazione dei cd. Quando diventano famosi, al clan torna una percentuale sugli incassi».

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A Secondigliano, Tommaso Prestieri, boss poeta e impresario, era figlio di Antonio, impresario discografico e tra i primi produttori di Nino D’Angelo. Secondo la Dda, Tommaso Prestieri, poi diventato marito della cantante neomelodica Rita Bonanno (in arte Rita Siani), avrebbe organizzato una spedizione punitiva contro un manager che aveva organizzato sul suo territorio un concerto di Carmelo Zappulla.



Un mondo, che dalle tv locali è passato ai video diffusi su Youtube e Instagram, destinato a trasformazioni descritte da Ravveduto: «Le nuove generazioni, nate in un contesto dove gli eroi sono i boss, i latitanti e i killer che diffondono ricchezza, sono passate dal giustificazionismo vittimario all’orgoglio della diversità etnicamente marcata. Sotto l’influsso di Gomorra, l’ambientazione criminale si è fatta glamour. E molti ascoltano pezzi di musica trap, che contengono riferimenti marcati e reali. Il pubblico della trap non coincide con quello dei neomelodici, ma lo interseca. Il ghetto criminale è diventato scenario globale, non necessariamente cittadino».

 

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