Napoli e provincia, già rimossi 32 altarini dei clan: «Lo Stato sta vincendo la sfida»

Napoli e provincia, già rimossi 32 altarini dei clan: «Lo Stato sta vincendo la sfida»
di Valentino Di Giacomo
Sabato 5 Giugno 2021, 23:32 - Ultimo agg. 24 Marzo, 03:36
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«Tutta la comprensione umana per le vittime, ma il valore della legalità non deve mai essere messo in discussione altrimenti rischiamo di trasformare questa città in una specie di località sudamericana». Ci volevano probabilmente gli occhi di qualcuno nato a differenti latitudini come il prefetto di Napoli, Marco Valentini, per leggere un fenomeno che probabilmente la città ha sempre avuto sotto i propri occhi, ma di cui forse non si è mai resa davvero consapevole. Tutto comincia con un’intervista al nostro giornale del prefetto lo scorso gennaio. È così che i murales e gli altarini dedicati a camorristi e personaggi legati alla criminalità cominciano a diventare non solo l’effetto di un allarme sociale, ma anche parte di esso. È attraverso i simboli che la malavita organizzata vuole dimostrare il proprio controllo sul territorio. Simboli per anni considerati come forma accessoria diventano quindi un’emergenza da fronteggiare e da cancellare.

Da quando il prefetto Valentini ha sollevato il caso sono stati 32 i murales e gli altarini rimossi nella provincia di Napoli. Sono 49 quelli censiti fino ad oggi ed è ormai iniziato il countdown per la rimozione dei restanti 17 manufatti abusivi. La prima rimozione avviene lo scorso febbraio cancellando il murale dedicato al 17enne Luigi Caiafa a Forcella. Il giovane era stato ucciso da un poliziotto mentre tentava una rapina e, per lui, erano sorti un murale e un altarino in vico Sedil Capuano. Non è stato facile convincere tutte le istituzioni che fosse necessario intervenire. In prima battuta il Comune di Napoli, pur riconoscendo che si trattava di un’opera abusiva dipinta su un palazzo di interesse storico, addossa ai residenti di quell’edificio l’onere di rimuovere il murale. Solo il coraggio e la tenacia dell’amministratrice del condominio, l’avvocato Valentina Varano, fermano l’ingiustizia. Per la prima volta sono i cittadini a ribellarsi a questi simboli, ma pure ad una burocrazia miope. L’avvocato presenta un ricorso e, in un’intervista al Mattino, specifica che quel murale è sorto contro la sua volontà e contro quella dei residenti di quel palazzo.

Passano pochi giorni e finalmente è il Comune a farsi carico di cancellare quell’opera con l’ausilio delle forze dell’ordine. Un forte segnale di presenza dello Stato che dà il via ad un’attività senza sosta fino allo scorso 4 marzo quando il prefetto convoca un apposito Comitato di ordine pubblico, alla presenza di tutte le istituzioni cittadine, per avviare una vera e propria task-force.

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Non si poteva che partire da Forcella, lì dove da anni convivono gli altarini e gli omaggi per una vittima innocente di camorra come Annalisa Durante e le statue delle madonne erette dai Giuliano. La morte che diventa davvero come una “livella” e dove bene e male sembrano non avere più confini. Ed è a sempre a Forcella che si dà la plastica dimostrazione di come pure questi simboli servano concretamente ai clan per ostentare la propria potenza. In via San Filippo e Giacomo, nell’ex roccaforte dei Sibillo, davanti all’altarino eretto nel palazzo dove abitava il 19enne capoclan con tanto di busto in cera a riprodurre le fattezze del baby-camorrista, venivano fatti inginocchiare i commercianti taglieggiati dal clan. L’altarino è stato rimosso, ma prima - a dimostrazione che simboli del male e reati concreti non sono così distanti - la procura di Napoli ha smantellato con più di venti arresti ciò che restava del clan della “Paranza dei bambini”. 

 

Venti altarini, 18 murales, 7 striscioni, 3 lapidi, un disegno su tavola. Questo il bilancio della ricognizione che da mesi le forze dell’ordine hanno avviato per iniziare le rimozioni. L’opera più dibattuta resta quella per il 15enne baby-rapinatore, Ugo Russo, ai Quartieri Spagnoli. I familiari e i movimenti sorti intorno alla figura di questo ragazzino chiedono da tempo «verità e giustizia» per far luce sulla sua morte. Lo fanno anche attraverso un murale gigante sorto in piazza Parrocchiella, un altarino in marmo a ridosso della Pignasecca e un’altra installazione a Santa Lucia sul luogo della sua morte.

Il Comune ancora traccheggia per quel murale e ora attende che sia il Tar a dire una parola definitiva nonostante Palazzo San Giacomo potrebbe già procedere a cancellarlo. In prima fila contro queste opere - spesso modello da imitare per altri giovani - c’è da sempre il consigliere regionale di Europa Verde, Francesco Emilio Borrelli, spesso anche minacciato dalla malavita per le sue continue denunce. «La camorra si nutre anche di simboli e - ha spesso ricordato pure il procuratore generale Luigi Riello, che da mesi segnala l’importanza di questi interventi - è necessario dare un segnale forte da parte dello Stato». Quegli interventi sono arrivati, oltre trenta in pochi mesi e altri sono pronti ad essere completati.
 

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