Camorra a Napoli, il clan Mallardo «cancellato» da 20 pentiti

Camorra a Napoli, il clan Mallardo «cancellato» da 20 pentiti
di Marco Di Caterino
Mercoledì 8 Giugno 2022, 07:03 - Ultimo agg. 9 Giugno, 15:28
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Un boss all'antica. Capace, senza far versare una goccia di sangue in più del necessario, di riportare equilibrio e calma nelle file del clan Mallardo, dilaniato dalla scissione del cosiddetto gruppo delle palazzine. E di avviare estorsioni e malaffare anche nei comuni della riviera di Giugliano, finiti sotto il pesante gioco di questo clan, che è la terza gamba della famigerata Alleanza di Secondigliano con le cosche Contini e Licciardi. Ieri mattina, però, Michele Olimpio, 63 anni, una condanna a trent'anni per omicidio, meglio noto come o' bumbularo, attuale reggente del clan Mallardo, nonostante il basso profilo è stato arrestato, nel corso di una maxi retata degli agenti del Centro Operativo Dia di Napoli, che hanno eseguito 25 misure cautelari (17 in carcere e 8 ai domiciliari) disposte con ordinanza emessa dal gip del Tribunale di Napoli su richiesta della direzione distrettuale antimafia della Procura partenopea.

I fatti contestati agli indagati risalgono al periodo compreso tra 2017 e il 2019 e i reati ipotizzati sono a vario titolo estorsioni, detenzione e porto abusivo di armi da fuoco, false attestazioni in atti destinati all'autorità giudiziaria, favoreggiamento personale, fittizia intestazione di beni, impiego di denaro di illecita provenienza, autoriciclaggio, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, fatti aggravati dal metodo mafioso. Il blitz ha visto finire in cella un dentista di Giugliano, Antonio Ciccarelli, che si era messo a disposizione del reggente, diagnosticando e certificando una inesistente patologia, che ha consentito a Michele Olimpio, all'epoca agli arresti domiciliari in provincia di Torino, di avere un permesso di cinque giorni per essere sottoposto a cure odontoiatriche, mai effettuate. Il boss, invece, con quel permesso aveva curato il clan, sventando di fatto una pericolosa scissione tra gli affiliati delle palazzine popolari di Giugliano. Una tensione interna alla cosca che aveva messo in difficoltà i due capozona, e uomini di sua completa fiducia, Stefano Cecere e Mario Quaranta.

Durante questa sua permanenza a Giugliano Michele Olimpio era stato capace di organizzare incontri e summit con gli affiliati per gestire i soldi delle estorsioni a danno delle attività di Giugliano centro e della fascia costiera, chiudendo così in una sorta di unicum tutto il litorale, da Castelvolturno, controllato dalla cosca Bidognetti alleata storica dell'Alleanza di Secondigliano, fino a Varcaturo e Licola.

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Le indagini hanno consentito agli inquirenti di ricostruire l'organigramma dell'organizzazione camorristica, i ruoli di capi e gregari, e di individuare il reato di intestazione fittizia di beni: in particolare, un'agenzia di scommesse, riconducibile al reggente del clan ma risultata intestata alla nuora e gestita dal figlio, quella di un'azienda del settore della distribuzione di carburanti e altri beni, intestati a dei prestanome. Un discreto patrimonio, oggetto di sequestro penale preventivo. L'inchiesta ha anche accertato il ruolo di primo piano nella direzione strategica del clan, avuto da Lyudmyla Pylypenko, moglie di Michele Olimpio, pure finita in carcere, e che a seconda della situazione svolgeva il ruolo di portaordini sull'asse Giugliano-Torino, impartiva agli affiliati, ma solo dopo un consulto telefonico con il marito, le disposizioni del boss, ma non disdegnava nemmeno di piazzare qualche truffa ai danni delle casse pubbliche. Gli inquirenti hanno accertato che la donna si era fatta assumere, ma solo sulla carta, presso un bar di Giugliano, gestito da un suo connazionale, fatto salvo poi essere licenziata per poter così intascare dall'Inps circa 10mila euro quale sussidio di disoccupazione. Soldi legali che finivano nella cassaforte del boss, che poi li reinvestiva in un giro di usura a Napoli. Oltre alla indagini vecchia maniera, le intercettazioni telefoniche e ambientali, a inguaiare Michele Olimpio e tutto il suo clan hanno provveduto ben venti collaboratori di giustizia. 

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