Napoli, summit di boss con uomini armati ​agli chalet di Mergellina

Napoli, summit di boss con uomini armati agli chalet di Mergellina
di Leandro Del Gaudio
Domenica 7 Giugno 2020, 23:00 - Ultimo agg. 8 Giugno, 14:14
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Una volta al mese, per almeno due ore. E in formazione tipo: ognuno con i suoi uomini a fare da guardaspalla, rigorosamente armati. Un summit di camorra tra due boss che si dividono le quote di racket e droga, che siglano accordi di spartizione del quartiere, in una tregua armata che rischia di crollare al primo malinteso: non tra i vicoli di un quartiere popolare, neppure tra gli scantinati di edilizia popolare ai confini dell’area metropolitana, ma a Mergellina, sul lungomare. O meglio: nella zona degli chalet di Mergellina, che - stando alle indagini più recenti del pool anticamorra - è un posto ideale per non dare nell’occhio, per chiudere accordi e prendere decisioni, senza rischiare blitz, controlli e denunce. Parola del pentito Daniele Pandolfi, uno dei testi di accusa nell’inchiesta che venerdì scorso ha portato in cella quattro presunti affiliati al clan Mauro della Sanità, meglio conosciuti come «i nuovi di sopra i Miracoli», quanto mai determinati negli ultimi mesi ad assumere la leadership del quartiere.

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Mergellina, traffico in zona Lungomare, via vai di turisti, di cittadini in vena di relax, siamo in piena era pre Covid, quando due dinasty criminali della Sanità chiudono accordi in trasferta. Spiega il pentito Pandolfi: «Da un lato c’era Patrizio Vastarella, dall’altro Ciro Mauro (poi finiti in cella, ndr), almeno una volta al mese avvenivano gli incontri. Ognuno con i suoi uomimi armati, loro due parlavano. I summit duravano almeno un paio di ore». Un luogo a prova di arresti, di controlli, ma anche di colpi di testa. Difficile pensare che uno dei due gruppi (visto il clima di guerra fredda) potesse decidere di consumare un agguato tra auto bloccate nel traffico, in una zona videocontrollata. Inchiesta condotta dai pm Urbano Mozzillo e Enrica Parascandolo, venerdì mattina l’arresto di quattro presunti elementi dei Mauro: in cella finiscono Antonio Chiaro, Luca Di Vicino, Francesco Lamia, Vincenzo Leonardo, ritenuti responsabili di una tentata estorsione nei confronti del titolare di un negozio nella zona della dei Miracoli. Ma non è l’unico episodio a carattere estorsivo, almeno a leggere la misura cautelare firmata dal gip Anna Imparato. Nel mirino del nuovo gruppo, anche un commerciante di vernici, al quale viene fatto un ordinativo di mille euro, con la promessa di pagare in un secondo momento. A questo punto, però il commerciante si ribella, comprende di avere davanti a sè dei pessimi clienti, riuscendo ad opporsi alla consegna della merce. Una scena registrata dalla telecamera, in cui compare la sagoma di una donna, a sua volta convivente di uno dei quattro elementi a finire agli arresti venerdì scorso. È lei ad indicare la telecamera ai suoi amici, nel tentativo di evitare colpi di testa di fronte all’atteggiamento del commerciante, che si rifiutava di consegnare la merce in via gratuita. Una brutta esperienza per un commerciante, costretto a subire altre forme di intimidazione, come emerge nel corso di una intercettazione ambientale, nel chiuso della caserma dei carabinieri. 
 


In questo caso, il negoziante di vernici viene convocato come possibile parte offesa assieme al titolare del negozio di scommesse. Sono due imprenditori onesti, due lavoratori, che si trovano a parlare del male comune, legato all’avvento del nuovo gruppo di estorsori, che farebbe capo al clan Mauro. Non sanno di essere intercettati, ma la loro conversazione finisce agli atti dell’inchiesta anticamorra, ed ecco i loro dialoghi: «A me è capitato ciò che è capitato a te, anche se a me non mi hanno picchiato», dice il commerciante di colori, in riferimento all’aggressione fisica subita dal secondo imprenditore, all’interno del suo negozio. Poi c’è un altro passaggio destinato ad avere un peso, nella ricostruzione delle presunte tecniche estorsive del gruppo finito in cella pochi giorni fa: «Passano e spassano, poi guardano dentro (nel senso che dall’esterno guardano all’interno del negozio, per imporre e far notare la propria sgradevole presenza, ndr), e se vedono mio figlio gli fanno anche le “sciriate” (sguardi intimidatori)». Due casi che ora attendono la replica dei diretti interessati, nelle prossime ore dinanzi al gip per gli interrogatori di garanzia, in uno scenario che punta a ricostruire il ruolo del gruppo di emergenti: quelli dei Miracoli, passati dai summit nella zona degli chalet alle «sciriate», all’esterno dei negozi, a prendere di mira i figli dei lavoratori onesti. 
 

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