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Camorra, l'allarme dei pm di Napoli: «Finte confessioni per evitare l'ergastolo»

di Leandro Del Gaudio
Articolo riservato agli abbonati
Martedì 18 Ottobre 2022, 12:00
4 Minuti di Lettura

Per la procuratrice di Napoli Rosa Volpe, «siamo ancora in mezzo alla tempesta», mentre il pm anticamorra Ida Teresi ricorda quanto «la lotta alle mafie sia quasi del tutto sparita dall'agenda politica». Trent'anni dopo le stragi di mafia in Sicilia, diventa decisivo guardare alla «complessità dei fenomeni mafiosi, su scala planetaria», valorizzando il lavoro e le intuizioni investigative di Filippo Beatrice, magistrato napoletano scomparso prematuramente pochi anni fa. Sono queste le priorità del convegno Passata è la tempesta?, sugli strumenti da mettere in campo in un mondo segnato dalla pandemia e dai conflitti internazionali. È toccato al capo della procura nazionale antimafia e antiterrorismo Gianni Melillo ricordare l'importanza di non abbassare la guardia: «Quando parliamo di mafie parliamo di elementi strutturali del tessuto economico e sociale, che condizionano il mercato economico e interi comparti produttivi, bisogna accettare la sfida alla complessità esattamente come indicato da Filippo Beatrice nei suoi scritti e nel suo lavoro».

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Ma sono diversi i momenti di riflessione offerti da studiosi e magistrati. Spiega il pm Maurizio De Marco, per oltre dieci anni in campo contro i clan dell'area nord: «Si avverte l'emersione di un numero notevole di dissociazioni strategiche in seno alla medesima organizzazione criminale, che mira a una delegittimazione dell'attuale sistema che si fonda sui collaboratori di giustizia. Oltre alla confessione, vi è l'attacco alle versioni dei collaboratori, mentre da un punto di vista sanzionatorio, attraverso il sistema delle attenuanti generiche prevalenti, si riduce sensibilmente la forbice tra pene irrogate a capi e mandanti». E tutto ciò - insiste il pm - avviene nel silenzio sul riciclaggio di soldi sporchi, sul reimpiego delle risorse illecite, sui condizionamenti delle istituzioni e le infiltrazioni nel mondo dell'economia. Sono punti che spingono il pm della Dda di Napoli Teresi (esponente della giunta dell'Anm, guidata dal presidente Pina D'Inverno) a sottolineare un punto in particolare: «Guai ad essere gelosi delle proprie indagini - ammoniva Falcone -, bisogna credere nella condivisione delle conoscenze, all'insegna del coordinamento nazionale». Interviene il pm della Procura nazionale antimafia Marco Del Gaudio: «La criminalità organizzata punta ad occupare gli spazi intermedi, strappando consenso e controllando pezzi delle istituzioni, ricordo il sistema di somme urgenze che i clan casalesi organizzarono per aggirare ogni forma di evidenza pubblica». È il momento delle forze dell'ordine, a partire dal generale della Finanza Paolo Borrelli, nuovo comandante del comando provinciale di Napoli, che ricorda l'esigenza del contrasto alla «criminalità d'impresa», mentre tocca al comandante del reparto operativo dei carabinieri Christian Angelillo, affrontare il delicato tema della modifica dei criteri di cooperazione internazionale nel contrasto alle associazioni di stampo mafioso: a sottolineare «l'esistenza di fenomeni complessi che travalicano i confini nazionali e che impongono metodi di lavoro di ampio respiro». Una convinzione che appartiene anche al collega, il capo della Mobile Alfredo Fabbrocini, che interviene sulla nuova fenomenologia della collaborazione con la giustizia: attualità e limiti della legislazione. Si fa riferimento a un agguato ai Quartieri spagnoli (due passanti estranei al crimine feriti in modo grave) che spinge il capo della Mobile a ricordare un punto su tutti: «La lotta alla camorra va fatta partendo dalla sofferenza di chi la subisce». 

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Ma a parlare di doppio binario, tra processi ordinari e processi contro i clan e di contrasto ai fenomeni mafiosi, intervengono i docenti Giuseppe Amarelli (Diritto penale, alla Federico II) e Luciano Brancaccio (Sociologia, Federico II), quest'ultimo intervenuto per affrontare il metodo Beatrice (dibattito coordinato dal giudice Maria Laura Alfano). E tocca poi al procuratore Giuseppe Borrelli ricordare la figura di un grado di «rispettare la dignità delle persone su cui indagava, anche quando contestava con fermezza reati gravissimi a carico di donne e uomini». Spetta al procuratore Melillo chiudere sulla sfida della complessità, come significato più profondo della vita di Filippo Beatrice», il cui spessore umano è destinato a lasciare un vuoto nella coscienza di chi ha avuto la fortuna di incontrarlo. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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