La strategia del clan tra paura e consenso: striscioni all'asilo e tritolo anti-Lo Russo

La strategia del clan tra paura e consenso: striscioni all'asilo e tritolo anti-Lo Russo
di Leandro Del Gaudio
Martedì 18 Giugno 2019, 08:30 - Ultimo agg. 11:32
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Hanno iniziato lo scorso aprile a mostrare i muscoli. E lo hanno fatto in due direzioni: da un lato, puntando armi di ogni tipo contro i propri rivali, quelli rimasti in un certo modo inseriti nel giro di affari dei Lo Ruso; ma anche usando i media, la comunicazione, per riversare - con messaggi sinistri - il loro odio verso i «capitoni», gli antici padroni della zona, in una parola quelli del clan Lo Russo, ma anche contro i loro alleati di sempre.

Ed è così che si apprende che la nuova faida dell'area nord non è iniziata ieri mattina all'alba, né pochi giorni fa con l'omicidio del figlio del boss pentito Salvatore Torino. Ricordate cosa accadde mesi fa in via Janfolla? Aprile scorso, all'esterno dell'asilo, brutta scena: c'erano degli striscioni contro i Lo Russo, gli odiati (ma un tempo riveriti) «infami», per aver scelto la strada della collaborazione con la giustizia.
 
Striscioni che usavano lo stesso font di quelli affissi dagli ultrà al San Paolo, per ricordare a tutti che Miano era in regime di «Ztl», di zona a traffico limitato contro i Lo Russo, la cui «libertà puzza di infamità», tanto per essere precisi. Da allora l'intera area nord è tornata sotto uno scenario di paura, di terrore, sull'onda d'urto di una camorra di ultima generazione. Hanno scarso venti anni, quelli che stanno seminando il panico: lo hanno fatto di recente a Scampia, imbottendo di esplosivo un'auto nel parcheggio di un condominio, rischiando una strage. Area controllata dal clan Sacco, storica compagine un tempo in buoni rapporti con i Lo Russo, contro i quali i nuovi narcos hanno provato a usare le maniere forti.

Esattamente come accaduto la scorsa settimana con il delitto Torino (si tratta comunque dell'omicidio del figlio di un ex boss, oggi pentito), o ieri mattina con la stesa dei cinquanta proiettili. Anche qui scenario teso, rovente, anche alla luce di quanto avvenuto nelle stesse ore in Tribunale, con il verdetto di primo grado che condanna in modo esemplare i presunti killer del clan Lo Russo. Aula 713, è stato il giudice Carbone a condannare all'ergastolo per l'omicidio Di Napoli, i due presunti killer Antonio Buono e Ciro Perfetto, infliggendo 12 anni ai pentiti Carlo Lo Russo e Mariano Torre (per i quali è stato tenuto in considerazione il beneficio della collaborazione con la giustizia); mentre sono state firmate condanne a 11 anni per Montepiccolo (condannato per associazione camorristica e droga); 8 anni per Antonella De Musis (per associazione camorristica). Un verdetto che conferma le conclusioni investigative del pm anticamorra Enrica Parascandolo, sotto il coordinamento del procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli, che infligge un nuovo colpo contro gli ex esponenti di un clan giunto - alla fine dello scorso decennio - a governare un'intera fetta di area metropolitana, con solide ramificazioni anche nei quartieri del centro di Napoli.

Ma chi c'è ora dietro episodi tanto violenti? Indagini su un gruppetto di soggetti cresciuti all'ombra del clan Lo Russo. Tra quesi si muove un soggetto sanguinario, che ha poco più di venti anni. Bombe e proiettili, agguati e stese. Vive nell'ombra, sa di essere attenzionato, ma sa anche che buona parte del consenso nella zona sta dalla sua parte. Strategia essenziale, elementare, quasi banale: punta alle piazze di spaccio, al corridoio d'oro, quello che separa la zona collinare dal centro cittadino. Droga, racket: sono i business criminali che un tempo - almeno da queste parti - erano sotto completo appannaggio della camorra dei Lo Russo, a loro volta colpiti da arresti, condanne, sequestri. Uno spazio vuoto che ora qualcuno sta cercando di riempire, a colpi di bombe e stese, senza esclusione di colpi.
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