Clan Gionta di Torre Annunziata, tre generazioni al 41bis: carcere duro anche per Aldo, il boss poeta

Clan Gionta di Torre Annunziata, tre generazioni al 41bis: carcere duro anche per Aldo, il boss poeta
di Dario Sautto
Sabato 6 Novembre 2021, 23:01 - Ultimo agg. 8 Novembre, 07:16
5 Minuti di Lettura

Le poesie, i racconti raccolti in un libro, le canzoni scritte per il «menestrello» neomelodico. Una serie di messaggi partiti spesso dal carcere, nonostante il regime del 41-bis, e arrivati all’esterno: come l’ordine di ammazzare il vecchio boss rivale che, qualche mese prima, aveva schiaffeggiato suo figlio appena 14enne, quel Valentino che porta il nome del nonno capoclan. Ma anche le raccomandazioni ad addestrare quello stesso rampollo, che doveva fare «attenzione ai pentiti» e imparare a «sparare con il kalashnikov». Da ieri, anche per il «boss poeta» Aldo Gionta è arrivato il sigillo del carcere a vita. Fine pena mai. Un ergastolo per il primogenito del capoclan di Torre Annunziata Valentino Gionta, da decenni relegato in regime duro di detenzione. Una dinastia di boss «irriducibili» che, nonostante i duri colpi subiti, continuano a scontare le loro condanne definitive al regime del carcere duro senza ombra di pentimenti. Solo il clan Gionta vanta questo primato: dal nonno al nipote, tre generazioni sono relegate al 41-bis. 

Lo Stato dunque ha battuto i Gionta prima a colpi di arresti e poi con le sentenze, a Torre Annunziata quel cognome ormai lo porta solo Teresa, l’altra figlia del capoclan Valentino, l’unica della famiglia a piede libero. Ma quel cognome, a Torre Annunziata, incute ancora paura. Perché grazie alle nuove generazioni degli affiliati storici, le estorsioni e il traffico di droga avvengono ancora per conto di quel clan, che attanaglia la città in una morsa che dura da oltre quarant’anni. Abbattuto dalle tante operazioni antimafia, il regno dei Gionta è ancora vivo, tant’è che nuovi clan nascono e muoiono nel giro di pochi anni con il solo obiettivo di sottrarre il malaffare a “quelli del Palazzo”. Da circa vent’anni è isolato in una cella Valentino Gionta, il 68enne capo fondatore del clan che negli anni ‘80 si impose a Torre Annunziata sulle macerie lasciate dal terremoto e dalla malapolitica. Ergastolano per omicidio, Gionta senior fu coinvolto nell’omicidio del giornalista Giancarlo Siani, che raccontava sulle pagine del Mattino quel territorio, ma il suo «silenzio-assenso» agli alleati Nuvoletta gli servì a evitare l’ergastolo: in Cassazione fu assolto per quel delitto. Al carcere duro c’è da tempo Pasquale Gionta, 43 anni, suo secondogenito: già condannato a tre ergastoli, di recente ha testimoniato nel processo per l’omicidio di «mamma coraggio» Matilde Sorrentino. Sempre 41-bis per Aldo Gionta: e la sua capacità di mandare messaggi all’esterno, segno di una potenza criminale ramificata, è costata l’applicazione dello stesso regime anche al figlio Valentino junior, che però scontando una ccndanna per estorsione tra qualche anno potrebbe tornare libero per fine pena. A lui, dal carcere duro, Aldo Gionta indirizzava pizzini e messaggi cuciti nelle etichette dei vestiti. Aldo Gionta è soprannominato il «boss poeta» perché, sempre in carcere, nelle celle di isolamento, ha dato sfogo alla sua creatività scrivendo poesie e canzoni: il testo di «Nun c’amma arrennere» (non dobbiamo arrenderci), un vero e proprio inno alla camorra e contro i collaboratori di giustizia, è stato poi musicato e cantato da Tony Marciano, neomelodico di Torre Annunziata con una condanna scontata per droga. Nella sua parentesi da cittadino libero, tra il 2013 e il 2014, ha pubblicato un libro di raccconti sul carcere duro dal titolo «Aldulk il ribelle», trovato nelle case di diversi affiliati al clan. Oggi 47enne, era stato scarcerato dopo aver scontato 26 anni per l’omicidio di Costantino Laudicino, operaio 25enne, vittima innocente della faida tra Limelli-Vangone e Gionta.

Nei pressi del deposito Aci di via Tenente Rossi a Boscotrecase dove lavorava, Laudicino fu ucciso il 3 febbraio 1992 da un commando di killer del clan che lo scambiò per il boss rivale Antonio Tarallo. Tra questi killer c’era pure il giovanissimo Aldo Gionta che, tornato in libertà, decise di abbandonare la roccaforte di famiglia di Palazzo Fienga. Riuscì, così, a rendersi latitante per due mesi, fino all’arresto avvenuto il 16 agosto 2014 a Pozzallo, in Sicilia, mentre si imbarcava per Malta.

Video

Ieri, anche per lui è arrivata la prima condanna all’ergastolo come il papà Valentino e come il fratello Pasquale, protagonista della sanguinosa faida iniziata nel 2006 proprio con l’omicidio di Natale Scarpa, «zì Natalino», 70enne elemento di spicco dei Gallo-Cavalieri, papà del narcotrafficante Vincenzo «caramella», crivellato di colpi il 16 agosto nel piazzale dello stadio Giraud dopo un allenamento del Savoia. Un omicidio eclatante che – adesso lo conferma anche la Cassazione – fu ordinato dal carcere proprio da Aldo Gionta, nel più classico delitto d’onore. Sei mesi prima, a Carnevale, il figlio adolescente Valentino junior (oggi 30enne) aveva sfidato quell’anziano boss rivale, colpendolo con un uovo. La reazione di Scarpa fu plateale: afferrò il rampollo di casa Gionta e lo schiaffeggiò in strada. Una volta arrivata la notizia in carcere, papà Aldo incaricò il fratello Pasquale, che organizzò la spedizione di morte.

© RIPRODUZIONE RISERVATA