Campi Flegrei, spunta il bollo di Marco Arrio dal mare di Bacoli

Campi Flegrei, spunta il bollo di Marco Arrio dal mare di Bacoli
Campi Flegrei, spunta il bollo di Marco Arrio dal mare di Bacoli
di Antonio Cangiano
Martedì 12 Gennaio 2021, 14:19 - Ultimo agg. 16:03
9 Minuti di Lettura

«Una Piccola scoperta, per una Grande storia». Così ha annunciato, Ciro Amoroso, appassionato di storia locale,  la scoperta di un bollo laterizio d’epoca romana, nelle acque di Bacoli, nei Campi Flegrei.  Il bollo in questione, una sorta di “marchio di fabbrica” dell’antichità, reca in rilievo alcune lettere, che presumibilmente rimandano alla fabbrica di Marco Arrio.

I dettagli della scoperta, affidati ad un lungo post pubblicato su Facebook, sono anche l’occasione per riscoprire luoghi incantevoli della costa flegrea, ricchi di una storia millenaria.  

 

Scrive Amoroso: «Andare sott'acqua è come attraversare un'altra dimensione: un tuffo nel blu e, improvvisamente, si spalancano le porte del tempo, ritrovandoti a rivivere il passato...di un futuro più bello del presente.

In punta di... pinne cerco la storia di un mondo parallelo, condannato alla proscrizione dal bradisismo e bandito dalla storia. Mi giro, scruto l'orizzonte. In mezzo al mare “a Scarpetella”, lo scoglio di rosso laterizio trafigge il cielo turchino. Un gabbiano sorvola solitario, sfiora l'onda spumosa e risale, disegnando larghi cerchi; si ferma, vibrando nell'aria e poi, con una picchiata verticale, si fionda in acqua, per risalire veloce ad abbracciare il cielo, stringendo nel becco la sua “compagna” di sempre: la nera castagnola. Un moto reboante lambisce la riva, una specie di eco risponde da lontano e vicino la sento tremare. E' voce di Storia che freme nella parte alta della grotta. Una vecchia voce, inumana e secca come i boati dei vulcani flegrei in eruzione o come l'urlo del mare procelloso che si infrange, in eterna lotta, contro le rocce della Villa di Ortensio, scardinandone l'essenza vitale. Quella vecchia voce invocava aiuto. Giro la testa. Disteso su un tappeto di sabbia c'è qualcosa che guardo incuriosito. 

«Ma cos'è, un pezzo di legno o un laterizio?» mi chiedo.

La copertura a volta “ra ruttella i Vasce Vacule” è bassa, parzialmente invasa dal mare per effetto del bradisismo e quasi riempita di sabbia alla sommità. Inizio a gattonare, strisciando sulla sabbia granulosa con le mani e coi ginocchi, come un soldato delle forze speciali di fanteria di marina degli USA... come un un bambino che ancora non ha imparato a camminare dritto sulle gambe.

Quella voce è una tegola o quanto ne resta. La giro e... affiorano tempi lontani, ricordi di uomini, un tempo marchiati nella pietra. Quasi al centro del pesante manufatto c'è un bollo e la forma rettangolare ne potrebbe attestare la datazione alla tarda età repubblicana o fino ai primi del I secolo d. C. La secolare azione erosiva delle acque e della sabbia l'hanno resa parzialmente illeggibile. Ombre sfuggenti si affollano davanti a me... nella mente. E le loro parole risuonano nella mia anima.

Ora mi ritrovo con i ginocchi sbucciati e sanguinanti, ma sono contento...

Al piede del banco tufaceo di Cento Camerelle, a m 30 ca. dalla c.d. “Grotta di Marina Grande” ( 'a rotta 'i Vasce Vacule), c'è la parte più enigmatica di quella che fu la villa marittima di Quinto Ortensio Ortalo: una grotta invasa dalla sabbia, parzialmente rapita dal mare degli Dei.

La villa marittima di Q. O. Ortalo, il grande retore di età repubblicana, abbracciava l'intero banco tufaceo di Cento Camerelle e declinava dolcemente, col suo insieme di terrazze e portici, tra le braccia delle marine di Bacoli e del Poggio. La villa comprendeva anche un bellissimo impianto termale visibile a soli  - 3 m di profondità, manufatti per le riserve d'acqua (le Cento Camerelle), più di un attracco privato (forse tre), horrea (magazzini), ambienti di servizio, i resti di un ponte canale, ninfei, piscinae in litore constructae (peschiere) e la...nostra “grotta”.

Questa grotta, cosa rappresentava? Soprattutto, qual era la sua funzione?

A volte alzare lo sguardo, non solo abitua a guardare lontano, ma ci rende capaci di “osservare” in profondità nelle “tracce” del tempo, nei bisogni dettati dal sapere e dalla sete di conoscenza.

Infatti, poco sopra la volta della grande spelunca di Marina Grande, occhieggia, seminascosto dalla vegetazione spontanea, tremule fronde e ramoscelli d'albero, un lascito del passato: un piccolo avanzo di conglomerato cementizio (alt. 1 m.

x 1 m. ca.). Attratto dai “misteri” che conserva questo scrigno, è facile immaginare la presenza di una stupenda ambulatio (un portico destinato al passeggio) nella parte mediana del banco tufaceo di Cento Camerelle, abbellito di colonne, statue, pavimentata di marmi policromi e... coperta di tegole. Parliamo di una terrazza panoramica aggettante sul Golfo di Puteoli; la stessa da cui Cicerone, ospite di Quinto Ortensio Ortalo, in compagnia del poeta Gaio Valerio Catullo e del nobile generale romano Lucullo, disse: “Mirabile spettacolo! Noi qui da Bauli vediamo Puteoli e non possiamo vedere però il nostro amico Aviano, che forse passeggia nel portico di Nettuno”

A questo punto è lecito porsi una domanda: «Ciò che oggi identifichiamo semplicemente come grotta, potrebbe essere un criptoportico (?), un corridoio sotterraneo di collegamento tra la parte residenziale e l'area termale della villa?» 

Ovviamente, non essendo uno studioso della materia, non azzardo improbabili soluzioni epigrafiche, propongo solo un paio di “innocenti” riflessioni.

Sapevo che laterizi, anfore, imbrici e tegole venivano “marchiati”, ma, fino a quel dì, non mi era mai capitato di vederne uno.

I romani diffusero la pratica di marchiare i mattoni, a partire più o meno dal II secolo a.C., in piena età repubblicana. La forma del bollo era generalmente tonda o rettangolare e recava immagini e scritte. La funzione del bollo laterizio era, infatti, quella di evidenziare alcune informazioni importanti, come l’anno di produzione - segnalato dal nome dei consoli in carica - e il luogo di fabbricazione, cioè la figlina: ovvero, l’officina nella quale i mattoni venivano realizzati materialmente. Da considerare, inoltre che, molto spesso, sul marchio di fabbrica veniva impresso anche il nome del proprietario dello stabilimento. Il coccio rinvenuto nella grotta potrebbe essere un imbrex, un coppo, o parte di una tegula messa in opera a copertura del tetto dell'ambulatio tra la fine del I sec. a. C. e la prima metà del I sec. d. C.?

La “nostra” tegola (cm 44 x16; spes. cm 3,7), come è stato già accennato, fortemente erosa, non omogenea e in parte sfrangiata, mostra quasi al centro un bollo rettangolare, parzialmente leggibile sotto luce (lung. cm. 7 x 2,4 ca.; dimens. lett. cm 1).

Confrontandomi con un amico esperto, notammo  che sotto la lampada appariva come MARRIMAX (le prime quattro lettere sono più o meno leggibili; le altre, causa l'erosione, si prestano a varie interpretazioni), potrebbe essere un bollo firmato M. ARRI, alias Marcus Arrius?

Ma chi era Marco Arrio?

Marcus Arrius era quello che noi definiremmo oggi un imprenditore, appartenente a una nota famiglia di “industriali”, forse minturnese, visto che proprio nell'Augusteum di questa antica città sono stati rinvenuti due laterizi che recano sigilli con l’iscrizione “M(arci) Arri” (Marcus Arrius) 

Laterizi con il “marchio” di personaggi di questa famiglia sono stati rinvenuti in tutto il bacino del Mediterraneo, dalla Spagna a Creta, dalla Gallia all’Africa… e molti sono stati rinvenuti anche a Pompei, in opere pubbliche. Insomma, si trattava di una famiglia potente e benestante, con possedimenti ed interessi commerciali in tutto il mondo romano e i cui membri ricoprirono anche cariche pubbliche.

A Minturnae in particolare la gens Arria è presente in ben tre iscrizioni, databili alla prima metà del I sec. a.C., attraverso i nomi di un liberto (C. Arrius Apelle), una liberta (Arria Ge) e uno schiavo (Chillus), tutti di C(aius) Arrius.”

Se credete che le etichette sui prodotti fossero una invenzione moderna... beh, allora vi sbagliate di grosso! Su molti laterizi, anfore, coppi e tegole di epoca romana si trovano iscrizioni di forme e dimensioni diverse, che erano dei veri e propri marchi di fabbrica: i bolli.

Questi, come la chiameremmo oggi, indicavano l'azienda produttrice, cioè la figlina, l’officina e il nome dell'imprenditore, anche se, a volte, poteva essere semplicemente il nome dell’artigiano.

In conclusione, era una vera e propria etichetta, un marchio di fabbrica, un cartellino munito dei dati che permettevano di riconoscere i lotti di laterizi e tegole ben identificabili.

Marcus Arrius, il “nostro” imprenditore, e l'azienda di famiglia ebbero modo di implementare il giro di affari (oggi diremmo a livello internazionale), tanto che, tra I e II secolo d. C., la loro presenza è stata attestata in molte aree dell'impero (Neapolis, Pontia, Pompeii, Puteoli, Lipara, Roma, fino a Tarraco in Hispania e Forum Iulii in Gallia Narbonensis). Ma due caratteristiche del bollo bacolese collocano Marcus Arrius agli inizi del periodo imperiale: la forma rettangolare del bollo (attestata dalla tarda età repubblicana fino al I secolo d. C.) e la presenza del solo nome al genitivo (il nome delle figlinae compare dall’età Claudia, per cui la “nostra” potrebbe essere di età repubblicana?).

Il frammento di terracotta, pervenutoci dal “rigurgito” del mare rilasciato nella grotta - criptoportico (?) di Centum Cellae, era parte dell'insieme di tegole sistemate sul tetto che coprivano un meraviglioso ambulatio (portico) aggettante sul Golfo di Puteoli?

Le tegole messe in opera nell'ambulatio (?) forse sono state prodotte in una delle fabbriche di M. Arrius, anche se al momento non è ipotizzabile dove si trovasse questa industria.

La produzione di queste tegole avveniva nell’ager di Minturnae? Oppure, Minturno era solo una stazione di smistamento, essendo il porto della città uno dei più importanti d’Italia?

E' bene ricordare che, dopo la dipartita di Ortensio (114 a. C.- 50 a. C.), la villa passò al Demanio Imperiale e fu, almeno dal I al II sec. d. C., ampliata e abbellita dai Cesari.

Nel corso dei secoli, a causa dei ben noti fenomeni di subsidenza, l'antica linea di costa è stata rapita dal mare e oggi un cielo d'acqua ricopre vaste aree di antiche città, quali Puteoli, Baiae e Misenum.

La villa di BAULI fu edificata lungo l' arco di costa che da Baiae conduceva a Misenum e così, come per le altre ben note località flegree, anch'essa dovette pagare un oneroso tributo alla natura, sprofondando dai  - 3 ai  - 5 m nel mare di Marina Grande di Bacoli.

Pertanto, a causa di ciò, anche la nostra “ruttella” subì i nefasti effetti della subsidenza, tanto da presentarsi decontestualizzata dal rimanente insieme del complesso archeologico.

Noi (molto umilmente) crediamo che sia la “grotta” che la tegola, rivestono un ruolo di primo piano nella storia che caratterizza questa villa, soprattutto se consideriamo quale Storia si cela nel bollo laterizio e quali “probabili” frequentatori abbia potuto avere. Poiché non vi è traccia della loro presenza nei classici e nella storia di questi luoghi, ricordiamo il Pater Patriae Augusto, il figlio adottivo Tiberio e il folle Caligola, solo per citarne alcuni...

A volte basta una pietra o un pezzo di laterizio, per raccontare una storia. Noi ne abbiamo proposta una, che renderebbe necessaria una nuova rilettura di questi spazi».

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