Capodimonte, l'appello degli artigiani:
«Il nostro settore è in ginocchio»

Capodimonte, l'appello degli artigiani: «Il nostro settore è in ginocchio»
di Antonio Folle
Domenica 17 Maggio 2020, 15:50 - Ultimo agg. 16:38
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L'antica arte delle porcellane di Capodimonte oggi rischia di scomparire. Due nemici mortali incombono sulle ormai pochissime fabbriche - non più di venti tra Napoli e hinterland - che producono secondo gli antichi metodi che si tramandano di padre in figlio. Il lockdown e suoi pesanti strascichi, uniti alla farraginosa burocrazia cittadina, rischiano di assestare un colpo mortale alla manifattura fondata nella prima metà del settecento da Carlo di Borbone.

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Da oltre dieci anni gli artigiani fanno pressioni, invano, sul Comune di Napoli per la convocazione della commissione di esperti del settore che ha il compito di salvaguardare il disciplinare di produzione e stabilire precise regole di produzione. Un ritardo inspiegabile che espone il settore alla concorrenza degli abusivi che producono con sistemi di produzione industriali e delle fabbriche che producono in altre zone d'Italia usando - del tutto impropriamente - il marchio di Capodimonte
 
 


«Abbiamo già avuto moltissime disdette a causa del lockdown e dell'annullamento di matrimoni e comunioni - spiega Giovanni Carusio, storico artigiano di Capodimonte - in questo periodo noi accumuliamo lavoro per mantenere aperte le botteghe anche in periodi in cui si lavora meno, quindi si può ben immaginare quale colpo è stato assestato alle nostre attività. A questo si aggiunge l'atteggiamento del Comune di Napoli che da oltre dieci anni, nonostante le nostre rimostranze, tarda a convocare la commissione che dovrebbe stabilire il disciplinare di produzione e salvaguardare così il marchio che oggi è usato anche da chi non produce a Napoli. Siamo esposti ad una concorrenza sleale che sta mettendo in ginocchio le nostre attività - continua l'artigiano - e solo l'intervento deciso del Comune di Napoli, proprietario legale del marchio, potrebbe fare da argine».

Le porcellane i Capodimonte devono la loro esistenza alla passione di Carlo di Borbone e di sua moglie Maria Amalia di Sassonia per per porcellane nord europee. Subito dopo aver conquistato il regno, infatti, Carlo fondò a Capodimonte la prima Real Fabbrica con maestranze provenienti dalla Germania. Era il 1743. Quando fu chiamato a sedere sul trono di Spagna, a riprova della passione del sovrano per le "sue" porcellane, Carlo decise di portare con se l'intera fabbrica. Toccò a suo Ferdinando proseguire la tradizione, fondando nel 1773 la Real Fabbrica Ferdinandea. L'avvento dei francesi e la spietata concorrenza delle iperprotette fabbriche transalpine rappresentò una prima battuta d'arresto per la fabbrica. Il disinteresse dei Savoia per le porcellane di Capodimonte rappresentò lo botta finale per la fabbrica statale. Dopo l'Unità d'Italia, infatti, le tradizioni dei maestri di Capodimonte furono portate avanti, fino ai giorni nostri, dalle fabbriche a conduzione familiare fondate dai discendenti degli antichi artigiani invitati a Napoli dai Borbone.
 


Il lento ed inesorabile declino delle porcellane di Capodimonte è ben "leggibile" anche nella geografia urbana del quartiere. La zona dove un tempo pullulavano fabbriche e fabbrichette artigiane oggi è una zona residenziale. Le botteghe degli artigiani sono state sostituite da abitazioni e orribili box auto.

«Bisogna fare tutto il possibile per salvaguardare le porcellane di Capodimonte - dichiara il consigliere della III Municipalità Gennaro Acampora - che sono un importante pezzo di storia della nostra città. Il Comune di Napoli deve fare la sua parte e deve farlo al più presto, convocando a commissione che ha lo scopo di salvaguardare il marchio che oggi è usato e abusato in tutta Italia. Salvare le porcellane di Capodimonte - prosegue l'esponente del terzo parlamentino - magari con l'istituzione di appositi stanziamenti economici in favore di chi fonda botteghe di qualità, potrebbe rappresentare un volano di sviluppo anche turistico del nostro territorio».
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