Svolta nel regime di carcere duro: il figlio di 6 anni è autistico, boss di camorra al 41-bis può vedere moglie e bambino

Svolta nel regime di carcere duro: il figlio di 6 anni è autistico, boss di camorra al 41-bis può vedere moglie e bambino
di Dario Sautto
Martedì 14 Settembre 2021, 23:00 - Ultimo agg. 15 Settembre, 20:47
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Il bambino è affetto da disturbi dello spettro autistico e piange quando è da solo con il papà detenuto. Così, ieri pomeriggio la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dall’Avvocatura dello Stato per conto del ministero della Giustizia e concede da oggi anche alla moglie di un boss di camorra della provincia di Napoli di varcare la soglia del 41-bis. Si tratta di un precedente importante nella gestione delle visite al regime del carcere duro, che è volto solo ed esclusivamente alla tutela del minore e della continuità affettiva e familiare del bambino. Una sentenza che farà giurisprudenza e che si inserisce appieno nel dibattito sulla riforma delle carceri, sull’ergastolo ostativo e sui permessi premio anche per i mafiosi condannati al carcere a vita o comunque ristretti al 41-bis. La vicenda, però, riguarda un caso molto delicato, seppure il papà detenuto è considerato un pericoloso boss che può facilmente comunicare direttive ai suoi affiliati all’esterno nonostante sia in carcere. 

Il piccolo di 6 anni è sottoposto da tempo a terapie specifiche per i disturbi neuropsichici e comportamentali riscontrati da diversi medici. Problemi che gli impediscono di avere una reazione serena alla vista del papà detenuto al 41-bis, che lui può incontrare solo una volta al mese, come previsto dalla norma. Le restrizioni previste per i mafiosi ristretti al regime duro consentono solo ai minori di 12 anni di poter varcare la soglia della saletta dei colloqui per abbracciare i genitori, ma devono essere soli con il detenuto senza altri familiari. Nel caso specifico, però, i particolari disturbi comportamentali riscontrati nel bambino portano il piccolo a piangere immediatamente se si stacca dalla madre. Un caso limite, dunque, che il tribunale di Sorveglianza del centro Italia aveva già vagliato nei mesi scorsi, concedendo una deroga alla moglie del detenuto, autorizzando la donna ad accompagnare il bambino al di là del vetro divisorio, al solo scopo di concedere al boss di poter abbracciare il figlio senza che piangesse. In seduta camerale, ieri la Cassazione – presieduta da Renato Bricchetti – ha ritenuto corretta la valutazione dello stesso tribunale e dunque, in attesa delle motivazioni, il detenuto potrà riabbracciare il figlio anche in presenza della moglie.

Un contatto tra moglie e marito che avrà il solo scopo di tutelare il bimbo. In carcere dal 2014, il boss del Napoletano sta scontando un cumulo di pena di una dozzina di anni per vari reati: dall’associazione per delinquere di tipo mafioso al traffico di droga, passando per le estorsioni, con una serie di reati di camorra commessi ancora da minorenne. Elemento di spicco della camorra, fu arrestato proprio pochi mesi prima della nascita del figlio, che dunque ha sempre incontrato con una certa difficoltà una volta mese, perdendo completamente la continuità del rapporto a causa della pandemia. Con la riapertura delle carceri ai colloqui, la sua richiesta di poter abbracciare il figlio anche in presenza della moglie è stata accolta dal tribunale di Sorveglianza competente, che aveva valutato con attenzione la documentazione medica presentata dalla moglie, dunque concedendo la particolare autorizzazione anche alla donna di poter essere presente oltre il vetro del 41-bis. Una deroga che potrebbe aprire spiragli anche per altri detenuti e che dà un altro colpo al carcere duro e ai limiti imposti ai mafiosi, sempre più in linea con le direttive della Corte Europea per i diritti dell’uomo che ha più volte richiamato l’Italia, considerando disumano e non rieducativo il trattamento riservato ai detenuti per reati di mafia.

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Già a febbraio aveva fatto discutere la richiesta della vedova di Raffaele Cutolo, il superboss della Nuova Camorra Organizzata morto nel reparto ospedaliero del carcere di massima sicurezza di Parma. Attraverso i suoi legali, Immacolata Iacone ha ottenuto negli anni diversi permessi speciali: dal matrimonio all’inseminaizione artificiale. L’ultima richiesta, quella di poter assistere il professore di Ottaviano in fin di vita o almeno di poter vegliare la sua salma, è stata rigettata senza alcuno spiraglio, anche per l’emergenza sanitaria in atto. Ma la sentenza emessa ieri dalla Cassazione, seppure rivolta ad un caso specifico, potrebbe riscrivere per sempre le regole del carcere duro.

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