Casalesi, morto l'ex boss Carmine Schiavone: collaborò con la giustizia per i rifiuti

Casalesi, morto l'ex boss Carmine Schiavone: collaborò con la giustizia per i rifiuti
Domenica 22 Febbraio 2015, 13:39 - Ultimo agg. 23 Febbraio, 08:59
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È morto nella sua abitazione nel Lazio Carmine Schiavone, ex boss dei Casalesi, a lungo collaboratore di giustizia. La causa del decesso sarebbe un infarto. Aveva 72 anni. Schiavone, da quanto si apprende, era caduto dal tetto dell'abitazione qualche giorno fa mentre stava eseguendo alcuni lavori ed è stato portato in ospedale. Oggi, dunque, l'infarto letale.

La giustizia. Carmine Schiavone da diverso tempo era uscito dal programma di protezione per i pentiti.

Fecero scalpore le sue dichiarazioni sul traffico e l'interramento dei rifiuti tossici nella Terra dei fuochi.

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L'affare dei rifiuti. Il traffico e l'interramento dei rifiuti in provincia di Caserta era un affare da 600-700 milioni di lire al mese, che ha devastato terre nelle quali, visti i veleni sotterrati, si poteva immaginare «che nel giro di vent'anni morissero tutti». Parole che mettono i brividi quelle pronunciate nel 1997 dal pentito dei casalesi Carmine Schiavone - morto oggi nella sua abitazione nel Lazio - davanti alla Commissione ecomafie, in una audizione i cui verbali furono desecretati nel 2013. La sentenza senza appello pronunciata dall'ex boss riguardava tanti centri del Casertano, «gli abitanti di paesi come Casapesenna, Casal di Principe, Castel Volturno e così via, avranno, forse, venti anni di vita».

I terreni contaminati. Rifiuti radioattivi «dovrebbero trovarsi in un terreno sul quale oggi ci sono le bufale e su cui non cresce più erba», raccontava Schiavone. Fanghi nucleari, riferiva, arrivavano su camion provenienti dalla Germania. Nel business del traffico dei rifiuti, secondo il pentito, erano coinvolte mafia, 'ndrangheta e Sacra Corona Unita.

I 136 arresti. Carmine Schiavone, l'ex boss dei Casalesi morto oggi a 72 anni, aveva iniziato a collaborare con la giustizia nel 1993. Le sue deposizioni furono determinanti per il maxiblitz che portò a 136 arresti di affiliati al clan, operazione da cui derivò il processo «Spartacus». Anche qui le dichiarazioni di Schiavone furono al centro delle accuse. Al termine del processo furono condannati il cugino Francesco Schiavone detto Sandokan, Michele Zagaria e Francesco Bidognetti, ritenuti la cupola del clan. Con loro furono condannate altre 30 persone. Finito il programma di protezione, Schiavone si era trasferito con la moglie e i figli nella Tuscia, in una casa nei paraggi del lago di Vico, dove è morto. Il suo nome tornò alla ribalta nel 2008, quando voci raccolte dalle forze dell'ordine lo davano come possibile organizzatore di un attentato contro Roberto Saviano. Ma sulla circostanza non emersero riscontri concreti. Negli ultimi anni aveva concesso numerose interviste ai media sul traffico illecito di rifiuti nella Terra dei Fuochi.

Il procuratore. «La collaborazione di Carmine Schiavone fu fondamentale perchè fu il primo esponente del clan che ha aperto uno squarcio sul sistema criminale creato dai Casalesi e l'unico che davvero ci ha aiutato capire una realtà in cui accanto alla forza militare c'era una rilevante forza economico -imprenditoriale». Lo afferma il Procuratore di Reggio Calabria Federico Cafiero De Raho, che nel 1993 raccolse le dichiarazioni di Schiavone e sostenne l'accusa nel maxi-processo «Spartacus» contro i Casalesi. «Fino a quel momento - afferma De Raho - ci era sconosciuto il sistema imprenditoriale realizzato dai Casalesi. Poi scoprimmo una realtà in cui il clan riusciva a controllare ogni attività economica del Casertano, in particolare l'edilizia; lo faceva attraverso il Consorzio del calcestruzzo che Schiavone (proprietario egli stesso di un?azienda di calcestruzzo) aveva contribuito a creare. Controllando la distribuzione del cemento il clan poteva conoscere ogni luogo dove avvenivano opere edilizie e intervenire con proprie imprese. Poi vennero le rivelazioni choc sui rifiuti».

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