Castellammare di Stabia regno di due clan: addio alle faide, spartiti gli appalti

Castellammare di Stabia regno di due clan: addio alle faide, spartiti gli appalti
di Dario Sautto
Martedì 5 Aprile 2022, 12:00
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La camorra sanguinaria, imprenditrice, quella sopravvissuta alle faide e alle scissioni, quella che da quarant'anni stringe in una morsa letale il territorio, che si infiltra nelle amministrazioni comunali, che ha sempre dato precise indicazioni di voto e che ha ammazzato due consiglieri.

Una camorra che affonda le radici nella storia della malavita: i genitori del gangster Al Capone erano emigrati da Castellammare negli Stati Uniti per trovare fortuna. E sempre a Castellammare, negli anni 50, era approdato il camorrista nolano Pasquale Simonetti per sposare la bellissima stabiese Assunta, più nota come Pupetta Maresca, morta pochi mesi fa, che vendicò il suo omicidio e diventò la prima vera donna di camorra, tra carcere, cinema, spettacolo. Laboratorio politico, Stalingrado del Sud, città di operai e turismo, delle 28 fonti d'acqua e dei due stabilimenti termali chiusi, dopo il terremoto Castellammare ha vissuto un lungo declino. 

Una città storicamente «rossa» che negli anni 80 è stata dominata dallo strapotere politico di Gava e della Democrazia Cristiana, ma anche lacerata da una infinita guerra di camorra che ha visto fronteggiarsi elementi di spicco della Nco di Raffaele Cutolo e i più spietati fiancheggiatori della Nuova Famiglia, con l'ascesa prepotente del clan D'Alessandro nel rione Scanzano e di Ferdinando Cesarano a Ponte Persica.

Un boss, Cesarano, che da solo è stato condannato a oltre trenta ergastoli, che nel 1999 riuscì ad evadere dall'aula bunker di Salerno e in carcere si è prima diplomato e poi laureato tre volte, senza mai un segnale di pentimento. Per Alfieri, nel 1984 «Nanduccio e Ponte Persica» organizzò la strage di Sant'Alessandro a Torre Annunziata; Cesarano fu assolto, anche se anni dopo il processo alcuni pentiti ricostruirono il suo ruolo chiave. L'influenza del clan Cesarano arriva fino a Scafati con i Matrone, ma soprattutto a Pompei, con la gestione indiretta di molte attività all'interno del Mercato dei Fiori e il pizzo. Il ruolo dei Cesarano è emerso anche nel traffico di reperti archeologici.

L'ascesa del clan D'Alessandro è stata ugualmente sanguinaria. Il pizzo, gli appalti, la droga sono appannaggio della famiglia ormai da oltre quarant'anni. Un clan sopravvissuto a scissioni clamorose seguite da faide e omicidi come quella di Mario Umberto Imparato, poi del clan dei «falsi pentiti» capeggiati dal killer Raffaele Di Somma nel Centro Antico e gli Omobono-Scarpa. Il boss indiscusso è stato Michele D'Alessandro, morto in carcere nel 1999. A prendere le redini del clan sono stati, di volta in volta, fratello, figli, la vedova, alcuni suoi fedelissimi e ora i nipoti che portano il suo nome, la terza generazione. La sua influenza sostiene l'Antimafia condiziona appalti pubblici e anche la gestione dei servizi funebri, da sempre appannaggio dell'altra famiglia Cesarano. Inoltre, Castellammare vanta un triste primato: è l'unica città in cui sono stati uccisi due consiglieri comunali. Nel 1992 Sebastiano Corrado (Pds), nel 2009 Luigi Tommasino (Pd). E, un mese e mezzo fa, è arrivato anche lo scioglimento per infiltrazioni della camorra. 

Oggi, secondo l'Antimafia, il clan sarebbe diviso tra la parte delle «palazzine» e quella di via Partoria ma sempre unite nel nome di Michele D'Alessandro. Sono tornati liberi prima suo fratello Luigi «Gigginiello» poi suo figlio Vincenzo «Enzuccio o cane», insieme a elementi di spicco come Paolo Carolei, mentre sono detenuti i componenti della triade che aveva guidato il clan fino al 2018: Sergio Mosca, Antonio Rossetti e Giovanni «Giovannone» D'Alessandro. Il clan D'Alessandro sembra aver cambiato volto: ha alleanze solide e sparge meno sangue. Alle spalle, sui Lattari, non c'è più astio con gli ex fedelissimi di Mario Umberto Imparato, che ora sono alleati strategici: il clan Di Martino di Gragnano assicura forniture di marijuana, grazie anche alle piantagioni di canapa indiana sui Lattari. L'influenza dei D'Alessandro e dei Di Martino è forte anche in Penisola Sorrentina: a Vico Equense si sono estese dal monte Faito le piantagioni illegali, mentre nei locali della movida arrivano fiumi di droga. I Di Martino estendono la loro influenza anche su Pimonte e Agerola, grazie ad alleanze e parentele con le famiglie Afeltra e Gentile. 

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È di Castellammare anche Raffaele Imperiale, il narcotrafficante più potente d'Europa, che prima dal suo coffee shop in Olanda e poi dal suo rifugio a Dubai ha fornito cocaina al clan Amato-Pagano di Napoli. Divenuto noto in tutto il mondo per aver nascosto a Castellammare, nella casa dei genitori, i due quadri di Van Gogh rubati, è stato catturato ad agosto dopo un lunga latitanza negli Emirati Arabi e la sua estradizione è avvenuta pochi giorni fa.

Negli ultimi anni, con l'inchiesta Olimpo, è tornato d'attualità il ruolo di Adolfo Greco, imprenditore del latte, in passato legato al boss Raffaele Cutolo. Fu condannato per favoreggiamento per aver acquistato il Castello Mediceo di Ottaviano al capo della Nco, che come emerge dagli atti della Commissione Violante lo volle come intermediario con i servizi segreti prima di avviare la trattativa con le Brigate Rosse per la liberazione dell'assessore democristiano Ciro Cirillo, rapito nel 1981. Figura controversa quella di Greco, condannato in primo grado per aver veicolato due estorsioni ai danni di altri imprenditori suoi amici. Negli anni 80 sostiene il pentito Pasquale Galasso Greco era legato al defunto boss cutoliano Alfonso Rosanova e ai Fontanella, referenti della Nco a Sant'Antonio Abate, mentre oggi nella «città del pomodoro» sembra muoversi un nuovo clan in contrasto con le storiche famiglie di camorra della zona.

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