Cattleya: estranei a tutto, lo dicono le intercettazioni

Cattleya: estranei a tutto, lo dicono le intercettazioni
di Leandro Del Gaudio
Mercoledì 7 Febbraio 2018, 08:35 - Ultimo agg. 09:18
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Meraviglia, rabbia, ma anche tentativo di comprendere e di approfondire quanto gli viene riportato dalla cronaca del Mattino.
Raggiunto al telefono, il manager della Cattleya Riccardo Tozzi non nasconde il proprio fastidio, anche solo ad essere associato ad una vicenda di soldi girati sotto banco alla camorra. Poi, quando sente della confessione resa in aula da uno degli imputati, che chiama in ballo la produzione della serie tv, non ci sta a fare la parte del colluso.
Tozzi, come replica al racconto dell’imputato Aquino? La sorprende una confessione del genere?
«Mi sorprende sì, è chiaro che mi sorprende. Posso solo dire che è una storia infinita, nel corso della quale ripeto e ripetiamo quello che abbiamo sempre raccontato, dentro e fuori l’aula di giustizia: gli unici soldi dati per girare delle scene in una villa di Torre Annunziata sono quelli dati - ovviamente in chiaro - all’amministratore giudiziario, il titolare della custodia del locale». 
Intanto, c’è un’accusa abbastanza diretta...
«Ed è la cosa che mi sorprende di più, su cui basta fare una riflessione alla luce della conoscenza degli atti depositati nel corso del processo».
A cosa fa riferimento?
«Parlo proprio delle carte della Procura, anzi, delle intercettazioni telefoniche e ambientali che stanno a corredo di ogni iniziativa assunta in questi anni».

 

Verbali, atti investigativi?
«Anche le intercettazioni, sottolineo, le intercettazioni. Le ha lette le intercettazioni? Non c’è traccia di rapporti tra noi, quelli della produzione, e la camorra, nessun accordo sottobanco, neppure con i rappresentanti locali chiamati ad interessarsi del fitto di un immobile».
Eppure anche il pm in aula ha fatto riferimento ad una sorta di ordine di batteria interno alla casa di produzione, finalizzato a salvare il buon nome della Cattleya, a non fare alcun accenno a possibili collisioni con il sistema criminale locale. Come giudica il discorso fatto dal pm?
«Non capisco in cosa avremmo mentito. Non capisco a chi conveniva prendere accordi con camorristi».
Ma come andarono i fatti, quando la Cattleya sbarcò a Torre Annunziata?
«C’era una squadra incaricata di trovare una villa che avesse le caratteristiche adeguate a rappresentare l’abitazione di un boss. Quel locale era perfetto, nulla da ridire, ci impressionò subito per la sua veridicità. Non a caso venimmo a sapere che era stato sequestrato, per cui furono stabiliti accordi con il custode giudiziario. Ovviamente si tratta di vicende che ricordo senza altri particolari, perché il mio ruolo in azienda è curare la parte creativa. Avevamo delle persone che dovevano risolvere problemi di natura logistica. Nessuno accennò a possibili scambi di denaro sottobanco anche perché non appartengono alla nostra storia».
In che senso?
«Guardi che in tre stagioni di Gomorra non abbiamo mai avuto problemi, se ci fosse stato un metodo, un modus operandi finalizzato a scendere a patti con il crimine organizzato, le assicuro che sarebbe venuto fuori».
Come è lavorare a Napoli?
«Non è facile, non è un territorio semplice per molti aspetti, mi riferisco ai servizi e all’ambiente, ma di sicuro non abbiamo mai incontrato problemi come quelli emersi per la storia della villa oplontina».
Gomorra è giunta alla quarta edizione, sarebbe un controsenso se la serie di denuncia dei clan fosse nata con il via libera dei clan stessi.
«Le ripeto: abbiamo girato centinaia di location, mai incontrato difficoltà di questo tipo. Si tratta di un fatto oggettivo, che non può essere smentito, anche alla luce del fatto che gli stessi atti di indagine dimostrano che il nostro operato è sempre stato corretto». 
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