Cervelli in fuga, il ritorno di Miram e Francesco a Napoli grazie a una donazione

Cervelli in fuga, il ritorno di Miram e Francesco a Napoli grazie a una donazione
di Ettore Mautone
Mercoledì 16 Dicembre 2020, 12:01 - Ultimo agg. 13:00
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Laureati a Napoli, poi ricercatori precari con un dottorato all'estero e infine, dopo 15 anni di peregrinazioni, docenti all'Università di Napoli. Tornati in città solo in virtù a una borsa di studio bandita grazie a un ingente lascito. I protagonisti sono tre: un'anonima benefattrice e due nefrologi, Miriam Zacchia e Francesco Trepiccione (entrambi di Napoli) considerati i classici cervelli in fuga. Grazie alla donazione sono state istituite due borse (da 300mila euro) presso l'unità di Nefrologia del Policlinico Vanvitelli alle quali hanno partecipato i due professionisti rientrati rispettivamente dagli Usa e dalla Francia. Oggi, a distanza di quattro anni, sono diventati l'una ricercatrice (abilitata a docente associato) e l'altro professore. A 40 anni entrambi hanno una promettente e brillante carriera universitaria che li attende nel lavoro presso la clinica Nefrologica dell'Ateneo partenopeo. La benefattrice, che quattro anni fa registrò tramite un notaio la donazione, resta anonima. Da quanto trapela sembra abbia vissuto vicissitudini cliniche con la figlia, affetta da una malattia congenita, la displasia renale, risolta e curata proprio al Policlinico Vanvitelli presso l'unità specialistica diretta da Giovanbattista Capasso, mentore dei due giovani e brillanti allievi oggi eredi della sua scuola. 

«Sono rientrata a Napoli, quando avevo 28 anni - ricorda Miriam Zacchia - all'epoca non avevo nessuna posizione, ero laureata, avevo svolto una tesi e poi un dottorato di ricerca alla Yale University.

Ho conseguito la specializzazione per avere un titolo clinico spendibile nei concorsi ma alla carriera di ricercatrice universitaria non avevo rinunciato anche se si profilava molto lunga e potevo contare solo su un rimborso spese. Gli anni all'estero sono stati fondamentali per la formazione. Un altro pianeta. Lì un ricercatore viene messo nella condizione migliore per coltivare le sue passioni. Ebbi l'opportunità di restare negli Usa presso un laboratorio prestigioso che si occupava propria degli studi sull'equilibrio acido base e il trasporto del citrato, la mia passione. Lo stile di vita di chi fa ricerca negli Usa non ha nulla a che vedere rispetto a quello che potevo fare in Italia. A 33 anni l'Università mi offrì una borsa per un anno, poco più che un rimborso spese, così ho continuato a fare ricerca. Mi mantenevo lavorando in un centro di dialisi. Poi è successa questa cosa straordinaria: un'importante elargizione anonima che ha permesso all'Ateneo per cui lavoravo di bandire due posti di ricercatori di tipo A. Uno l'ho vinto io. Certo è molto strano che sia una donazione a garantire un percorso formativo e professionale nell'ambito della ricerca - conclude - in quel momento storico avrei dovuto aspettare dai 6 agli 8 anni per essere stabilizzata ma in Italia funziona così, nella ricerca non si investe, il lavoro è precario e la maggior parte dei medici e dei ricercatori pur brillanti mollano. Dico sempre ai giovani di non lasciare le proprie passioni». 

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Sposata, due bambine, a 40 anni per la professoressa Zacchia il futuro è completamente diverso da quello che si profilava alcuni anni fa. Difficile dire quale sarebbe stata la sua vita e quella di Francesco Trepiccione senza quel lascito anonimo che ha finanziato un pezzetto significativo della loro carriera. Trepiccione ha avuto un percorso molto simile a quello della sua collega Zacchia: dopo aver peregrinato per prestigiosi centri di ricerca all'estero in Danimarca, Usa e Francia e una formazione anche più lunga anche lui è rientrato a Napoli cogliendo al volo la stessa opportunità offerta da quella borsa vinta, frutto di quel lascito anonimo che gli ha consentito di diventare così prima ricercatore, arricchendo un curriculum in cui figuravano già meriti e pubblicazioni, per infine essere stabilizzato come docente associato. Tra tutti quelli che iniziano a fare ricerca, in Italia e a Napoli, solo una percentuale minima riesce a proseguire e il precariato è un solco profondo in cui si dibattono migliaia di ricercatori che spesso cercano e trovano fortuna all'estero. Un gap soprattutto per i giovani cervelli del sud a cui il ministro dell'Università Gaetano Manfredi sta cercando di dare risposte.

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