Era un vulnus dell'inchiesta sin dalle battute iniziali. Quelle frasi captate, quei presunti accordi - a proposito di assunzioni, regali in cambio di voti (questa era l'ipotesi) non potevano essere usate a carico degli imputati. A leggere quelle intercettazioni agli atti, c'era un mondo e un possibile spaccato di relazioni che non potevano finire al vaglio dei giudici. Per almeno un paio di ragioni, sembra di capire: perché quelle frasi, quelle parole, erano state captate nel corso di un'altra inchiesta (figlia delle indagini sul del Pip di Marano, a proposito di presunte infiltrazioni camorristiche nella riqualificazione dell'ex area industriale del Comune); ma anche perché le ipotesi di accusa mosse a carico di Armando Cesaro, degli zii e di una pattuglia di pubblici ufficiali non avrebbero consentito di accendere le microspie. Erano reati - parliamo di voto di scambio - per i quali non era prevista la possibilità di chiedere a un giudice il via libera per attivare il grande orecchio. Sono questi i motivi che hanno spinto il giudice Nigro a chiudere i conti su una storia legata a presunti (a questo punto tutti da dimostrare) accordi per condizionare il voto alle regionale del 2015.
Una sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste, che era stata largamente antipata da un intervento in aula da parte dello stesso Nigro, a leggere un verbale di udienza di qualche mese fa: «...il Giudice non ammette l'utilizzabilità delle intercettazioni disposte in altro procedimento...».
Spiega al Mattino il professor Vincenzo Maiello, che in questa vicenda ha assistito Luigi Cesaro (assieme al collega Michele Sanseverino): «La sentenza Cavallo ha chiarito l'inutilizzabilità delle intercettazioni ricavate da un altro procedimento, in mancanza di una connessione con la nuova ipotesi di reato (che, per altro, non avrebbe consentito di attivare le intercettazioni stesse), ma già in precedenza rispetto al pronunciamento delle Sezioni unite, c'era un robusto orientamento interpretativo in questo senso).
Ma a questo punto resta una domanda ineludibile? Cosa resta cinque anni dopo le indagini che hanno dato vita al processo flop chiuso ieri? Stando alle stesse parole del pm Dongiacomo di Napoli nord (che aveva chiesto l'assoluzione per tutti gli imputati), sarebbero limitati i margini per un eventuale appello. Al di là delle frasi rincondotte agli imputati non sono stati acquisiti altri elementi in grado di riscontrare l'ipotesi di accusa di voto di scambio. In quelle pagine che raccotavano di assunzioni sospette alle Asl o alle Poste, di accordi tra politici, esponenti degli uffici tecnici e politici, sempre in vista di un possibile ritorno elettorale, c'erano elementi che non potevano da soli essere usati come elementi di prova a carico degli imputati. Come se non fossero mai esistiti, tanto da rappresentare un nulla di fatto anche per le difese che avrebbero avuto intenzione di entrare nel merito delle ipotesi vibrate dalla Procura di Napoli nord. Una sentenza che chiude i conti con il voto di scambio e che ripropone (anche alla luce della recente riforma) la questione di sempre a proposito di indagini di mafia e di pubblica amministrazione: quella legata alla ricerca di riscontri, al di là della narrazione captata da cimici e virus informatici.