Chiesa di Napoli, don Franco Rapullino: «Basta guerre tra preti, vendette e falsità: ora lavoriamo insieme»

Chiesa di Napoli, don Franco Rapullino: «Basta guerre tra preti, vendette e falsità: ora lavoriamo insieme»
di Maria Chiara Aulisio
Mercoledì 29 Settembre 2021, 11:30 - Ultimo agg. 11:37
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Don Franco Rapullino, parroco di Chiaia, nella chiesa di San Giuseppe, dopo anni vissuti a Porta Capuana, assiste al nuovo corso della Chiesa di Napoli, saluta i tre ausiliari freschi di nomina e plaude all'idea del sinodo, un momento di confronto indispensabile per aggiornare l'azione pastorale partenopea.

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Lei c'era in Duomo alla posa del Pallio sulle spalle di monsignor Battaglia? Perché qualche assenza ingombrante si è notata.
«Raffreddori politici, capitano spesso di questi tempi.

Io c'ero, certamente. Come avrei potuto non partecipare a una celebrazione così epocale».

Epocale non sarà un po' eccessivo?
«La presenza del Nunzio apostolico che impone il Pallio al nostro giovane arcivescovo è un evento che non capita tutti giorni».

La cerimonia le è piaciuta?
«Dopo le restrizioni che ci hanno angosciato in questi lunghi mesi ho avuto la sensazione di vivere un'atmosfera surreale. Ci stiamo lentamente riaprendo alla vita, e alla vita della Chiesa. Tutto questo, l'altra sera, si percepiva con chiarezza».

Battaglia sembrava commosso.
«Visibilmente commosso, aggiungo. Ho osservato il suo volto carico di emozione, ma ho anche colto lo sgomento del peso che sente sulle sue spalle. La gestione di questa Chiesa non sarà facile. Guardandolo sull'altare della Cattedrale era come se si stesse rivolgendo a Gesù: sulla tua Parola getterò le reti. Ma questa è una riflessione del tutto personale».

Cerimonia assai solenne.
«Anche molto vera. In tanti hanno notato la tenerezza con la quale don Mimmo ha chiesto ad Andrea, un giovane seminarista gravemente provato dalla vita, di accompagnare l'ampolla con il sangue di San Gennaro nella Cappella del tesoro».

E poi gran finale a sorpresa con l'annuncio del sinodo.
«Da buon padrone di casa ha voluto offrire un regalo ai suoi ospiti che lo hanno ricompensato con un fragoroso applauso».

Che cosa rappresenta il sinodo per la Chiesa di Napoli?
«Il desiderio di aria fresca, aria nuova. Siamo reduci da vicende avvincenti: Crescenzio Sepe è stato protagonista di tanti eventi che hanno rappresentato un esempio e lo stimolo a fare sempre di più. Ma tutto questo ormai appartiene al passato».

Spazio al nuovo corso, dunque.
«Non si può vivere crogiolandosi nei ricordi: chi vive di ricordi è già vecchio. A Napoli invece c'è una Chiesa coraggiosa e che ha una gran voglia di guardare avanti».

Veniamo ai tre vescovi ausiliari appena nominati? Che cosa ne pensa?
«Dopo qualche iniziale perplessità devo ammettere che la nostra Chiesa è composta di preti ubbidienti: non facciamo fatica a vedere in Papa Francesco, nel vescovo diocesano, la chiara volontà di Dio per il bene nostro. Oserei dire Roma locuta, causa finita».

Roma ha deciso, il caso è chiuso, in pratica.
«Beh, certo. In ogni caso confesso di non conoscere affatto don Francesco Beneduce, mentre don Gaetano Castello lo ricordo per alcune iniziative colme di prudenza, sapienza e spiritualità. Don Michele Autuoro invece è un caro amico, maestro formatore di preti».

Poi il pezzo da novanta: Gennaro Matino che Battaglia ha voluto alla guida dell'organizzazione del sinodo.
«Che dire? Pur non essendo insignito del carattere episcopale, è noto per la sua competenza e saprà indirizzare gli orientamenti del XXXI sinodo nel rispetto delle direttive di Papa Francesco».

Non crede che questa nomina qualche mal di pancia nella Chiesa di Napoli lo abbia provocato?
«Non ci possiamo permettere di giudicare: mi piace, non mi piace... Quel che penso è che con quest'aria nuova che tira bisognerà essere in grado di rinnovare rapporti di autentica amicizia, bruciando nel fuoco della carità la gramigna della rivalsa, lo spirito di divisione, il desiderio di vendette più o meno velate. Solo un vero sforzo di comunione, affettiva e effettiva, ci farà vincere la scommessa del sinodo. Diversamente, non basteranno l'abbandono dei titoli nobiliari, l'uso di croci di metallo o di legno - e le false lusinghe di parroci fin troppo compiacenti - a farci beneficare di questo tempo di rinnovamento e di salvezza».

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