Cieco e malato, a 72 anni deve andare in cella: no ai domiciliari per lo spazzacorrotti

Cieco e malato, a 72 anni deve andare in cella: no ai domiciliari per lo spazzacorrotti
di Giuseppe Crimaldi
Domenica 10 Marzo 2019, 08:00 - Ultimo agg. 09:00
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È quasi cieco, ha 72 anni, soffre di encefalopatia erpetica, di diabete mellito e di un principio di Alzheimer, ma rischia il carcere. La porta di una cella di Poggioreale potrebbe aprirsi già nelle prossime ore per Giorgio Mancinelli, napoletano di San Giovanni a Teduccio. Ed ora sua moglie Sofia, con i tre figli (la più piccola risulta affetta peraltro da una grave disabilità) è disperata. È anche questo uno degli effetti dell'entrata in vigore della legge «spazzacorrotti».

Storia tutta da raccontare, quella che ha portato ad un epilogo dal sapore agro che sa di sconfitta. Persino gli agenti della Polizia di Stato - i quali bussarono già per notificargli l'ordine di traduzione in carcere - intuirono che quell'anziano ormai ridotto quasi a un tronco, incapace di provvedere a se stesso e bisognoso di cure e assistenza costante, mai avrebbe potuto conciliare il suo stato fisico e mentale con il regime penitenziario. Era il 21 febbraio. Ma da allora le cose, semmai, sono peggiorate e lo spettro della galera si fa più concreto ogni minuto che passa. Vediamo perché.
 
Sia chiaro: le sentenze vanno rispettate, sempre, come è necessario tenere nella massima considerazione le valutazioni della magistratura. Ciò premesso, ricapitoliamo la vicenda cominciando dalla fine: da quel verdetto di colpevolezza emesso da un giudice che in primo grado (nessuno ha mai appellato quella sentenza, così diventata esecutiva) ha ritenuto il 72enne colpevole di evasione fiscale. Durante l'intero corso del processo Mancinelli ha avuto sicuramente la responsabilità - pesante - di non essersi difeso. A quelle «carte» notificategli dall'ufficiale giudiziario l'uomo non ha mai dato il giusto peso; oggi nemmeno sa ricostruire - a causa di un «decadimento cognitivo di grado severo» - come sia finito sul banco degli imputati. A casa non aveva mai raccontato la verità, che si è trasformata poi nella sua unica, vera colpa: nemmeno a sua moglie aveva raccontato di essersi prestato a fare da prestanome per la persona sbagliata: dopo aver perso il posto come impiegato presso la base Nato di Bagnoli, i soldi a casa erano pochi ed ecco il passo fatale, l'imperdonabile errore. Nemmeno l'avvocato di fiducia era riuscito a pagarsi Mancinelli per quel processo; e così gli era stato nominato un avvocato d'ufficio.

Qui, però, il punto è un altro. Qui c'è in gioco la vita di un uomo condannato al carcere in condizioni di salute a dir poco precarie. Il magistrato del Tribunale di Sorveglianza di Napoli - al quale si erano rivolti i difensori di Mancinelli - ha respinto l'istanza con la quale si chiedeva una misura cautelare meno afflittiva, e cioè la trasformazione della detenzione carceraria in arresti domiciliari. Il giudice ha ritenuto non convincenti le diagnosi che indicano il condannato come soggetto incompatibile con il regime carcerario. «Deve evidenziarsi - si legge nell'atto di differimento provvisorio dell'esecuzione di pena firmato il sette marzo scorso - che i Centri terapeutici degli istituti penitenziari dovrebbero essere bene in grado di fronteggiare situazioni sanitarie come quella in esame all'interno del carcere; lì dove non fosse possibile nello specifico, resta onere della Direzione del carcere, a fronte di patologie che non implichino incompatibilità assoluta del condannato col regime detentivo, individuare la migliore collocazione all'interno della struttura stessa o collocare il condannato in strutture sanitarie adeguate alla cura del caso concreto».
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