Omicidio Ciro Esposito, la sentenza choc: «Tifoso del Napoli ucciso da bravata»

Omicidio Ciro Esposito, la sentenza choc: «Tifoso del Napoli ucciso da bravata»
di Giuseppe Crimaldi
Domenica 10 Settembre 2017, 09:32 - Ultimo agg. 11 Settembre, 15:06
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Non ci fu agguato. Non ci fu alcuna rissa. Le bombe carta? Una «suggestione collettiva». L'atto è stato appena depositato in cancelleria ma fa già discutere. Parliamo delle motivazioni della sentenza di appello dei giudici della prima Corte di Assise di Roma, i quali - pur confermando la sentenza di condanna per l'imputato - hanno ridotto la pena inflitta a Daniele De Santis per l'omicidio di Ciro Esposito. I 26 anni comminati in primo grado si sono così ridotti a 16.
 



Ma è su alcuni passaggi di tali motivazioni che si alimenta il fuoco delle polemiche con le dichiarazioni dei difensori di parte civile e dei familiari di Ciro Esposito. Una «bravata». Per tre volte il giudice estensore della sentenza usa questa parola per definire l'assurdo comportamento dell'ex capo ultrà romanista che la sera del tre maggio del 2014 decise di armarsi per affrontare le carovane di tifosi napoletani in trasferta nella Capitale per assistere alla finale di Coppa Italia tra il Napoli e la Fiorentina. Su quel termine - «bravata» - si addensano già critiche e sottolineature. Ma c'è di più. Per i giudici dell'appello non vi fu alcun raid, nessun agguato premeditato teso contro le carovane di tifosi azzurri da parte degli ultrà romanisti. «Dei botti - scrivono i magistrati riferendosi alle fasi immediatamente precedenti al dramma - delle bombe carta e dei sassi con i quali sarebbero stati bersagliati i napoletani non si è rinvenuta traccia. Quei botti e quelle bombe sono il frutto della suggestione collettiva, di una ricostruzione ex post». Ed ancora: «Se i tifosi napoletani si posero all'inseguimento di De Santis ciò accadde per la decisione repentina di Ciro Esposito e di chi si trovava con lui: decisione finalizzata a regolare i conti». Ma quali conti?

Trentadue pagine per riscrivere la verità giudiziaria di una tragedia. Nessun dubbio sulla circostanza che fu «Gastone» a sparare a Ciro. Perché prima di sparare - si legge nella sentenza - fu De Santis, autore della «bravata contro i pullman», ad affrontare e insultare le carovane di supporter azzurri per poi essere aggredito dai napoletani. Dalla ricostruzione emerge che Ciro insieme ad altri amici si accorge di De Santis e lo insegue. «Esposito - si legge ancora - colpì De Santis con un pugno alla testa quando Gastone era già in fuga. Poi i colpi di pistola esplosi in rapida successione». Respinta anche l'ipotesi della legittima difesa: «De Santis aveva posto le condizioni obiettive che provocarono la sequenza di eventi destinati a culminare nell'omicidio di Ciro.

Egli provocò una situazione di oggettivo pericolo scagliando oggetti contro il pullman dei napoletani, dandosi poi alla fuga dopo la scomposta azione dimostrativa». Non ci fu, insomma, nessuna imboscata, De Santis non agì da «esca» in quanto sarebbe stato da solo, e nemmeno seguì alcuna rissa (sono infatti stati assolti dal reato gli altri due imputati, entrambi napoletani).

Chiuso anche il capitolo sui presunti complici che avrebbero spalleggiato l'imputato che, avendo agito a volto scoperto e nei pressi del luogo in cui viveva, non può considerarsi responsabile di aver premeditato alcun raid. De Santis agì dunque senza complici. Ce n'è anche per gli stessi tifosi azzurri che quel pomeriggio di tre anni fa confluivano nella zona di Tor di Quinto per poi raggiungere lo stadio Olimpico: «Alcuni gioiosamente, altri meno», scrivono i magistrati, sottolineando come quello stesso tragitto fu percorso dal capo ultrà azzurro «Genny 'a carogna» e da altri facinorosi. De Santis cercò riparo dietro una palizzata e dopo essere stato colpito con un pugno da Ciro Esposito estrasse la pistola sparando «poiché ben consapevole del potenziale rischio che egli stesso correva». Di qui la conclusione: «De Santis non si limitò ad esibire la pistola o a sparare in aria a scopo intimidatorio e nemmeno mirò a parti non vitali del corpo dei suoi contendenti. Esplose ben cinque colpi ad altezza uomo, quattro dei quali andarono a segno. La ripetizione dei colpi è indice di volontarietà di ferire».
 

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