«Città della Scienza, non fu il custode i piromani sono arrivati dall'esterno»

«Città della Scienza, non fu il custode i piromani sono arrivati dall'esterno»
di Viviana Lanza
Mercoledì 24 Aprile 2019, 09:22
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«Viene a vacillare la tesi che l'incendio debba essere stato necessariamente appiccato da qualcuno che si trovava già all'interno della struttura o che, comunque, una persona dall'interno abbia dovuto disattivare il sistema d'allarme per permettere a qualche complice di entrare dall'esterno». È così che i giudici della terza sezione della Corte d'appello (presidente Giovanni Carbone) motivano la sentenza con cui Paolo Cammarota, difeso dall'avvocato Luca Capasso, è stato assolto dall'accusa di aver appiccato l'incendio che il 4 marzo 2013 devastò Città della Scienza. Per i giudici, dunque, non ci sono prove sufficienti per ritenere che l'ex vigilante abbia innescato il rogo da solo o con qualche complice. Ed ecco perché il caso di Città della Scienza, il grande polo culturale di via Coroglio, è destinato a rimanere, almeno per ora, senza colpevoli.

GLI INDIZI
Per la Corte «non sono così gravi e precisi» gli elementi su cui si è basato il ragionamento della Procura e del giudice che in primo grado, con rito abbreviato, condannò Cammarota a sei anni di reclusione, e «non sono nemmeno poi così pacifici». La Corte d'appello smonta punto per punto le accuse contro l'ex vigilante di Città della Scienza. Innanzitutto perché non sarebbe certo che l'impianto anti-intrusione fosse funzionante la sera del disastro e non ci sarebbero motivi per non credere alle parole del responsabile della sicurezza della Fondazione Idis che raccontò le falle della manutenzione per mancanza di fondi. «Non si può escludere - ragionano a questo punto i giudici - che l'incendio sia stato provocato da qualcuno che si è introdotto nell'area museale dall'esterno, eventualmente tramite effrazione, approfittando del non funzionamento del sistema anti-intrusione, senza la necessità di complici interni che lo dovessero disattivare».

 
LA PERLUSTRAZIONE
Se Cammarota non notò gli inneschi durante l'ultimo giro di controllo prima dell'incendio, non significa che sia lui il responsabile: è così che i giudici aprono a ipotesi alternative. «Può anche significare che i giri di perlustrazione non venissero fatti da Cammarota e dagli altri in maniera puntuale e diligente». Del resto, si legge nella sentenza, c'era grande malcontento fra i dipendenti per le problematiche economiche della Fondazione e non sarebbe da trascurare il fatto che proprio la sera di quel 4 marzo un collega di Cammarota avesse già stilato anche il verbale del giro delle 22, turno mai eseguito a causa dell'incendio. «Il che - chiosa la Corte - la dice lunga sulla serietà con la quale i giri di perlustrazione venivano effettuati».
IL MOVENTE
Neanche la ricostruzione accusatoria sul movente regge in Appello. Perché «le problematiche relative alla mancata percezione delle retribuzioni non riguardavano certo solo il Cammarota, bensì tutti i dipendenti» scrivono i giudici. E se è pur vero che proprio il giorno del rogo ci fu una riunione sindacale che aveva dato esito negativo per i dipendenti della vigilanza e che Cammarota aveva delle vertenze personali nei confronti della Fondazione contro la quale aveva intentato una causa di lavoro, appare «illogico e singolare che un dipendente decida di risolvere le sue pendenze economiche nei confronti del datore di lavoro creando a quest'ultimo un danno economico enorme così da rendere ancor più difficoltoso ricevere le proprie spettanze».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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