Clan Mariano, 10 anni al boss redento: andò al Maurizio Costanzo Show

Clan Mariano, 10 anni al boss redento: andò al Maurizio Costanzo Show
di Viviana Lanza
Giovedì 24 Maggio 2018, 08:31 - Ultimo agg. 09:55
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Una delle condanne più severe è stata decisa per lui, Mario Savio, boss redento che si presentò come simbolo dell'anticamorra sul palcoscenico del Teatro Parioli al Maurizio Costanzo Show e fu coautore di un libro sulla malavita. I giudici della terza sezione penale lo hanno condannato a 10 anni di carcere per la partecipazione allo storico clan Mariano, influente nel centro della città e ai Quartieri Spagnoli, e agli affari illeciti del gruppo, con particolare riferimento al business delle scarpe di false griffe. La condanna rientra nella parte della tesi accusatoria che i giudici hanno condiviso.

Il processo si è concluso ieri con diciotto condanne, a pene che oscillano tra i dodici e l'anno di reclusione, e venticinque assoluzioni.

Il dispositivo della sentenza è stato letto, dopo una mattinata di camera di consiglio, dal giudice Carlo Spagna. Al centro delle accuse la storia più recente del potente clan dei Quartieri Spagnoli, i Mariano, i loro interessi nei tradizionali affari illeciti (droga e estorsioni, rapina, armi e ricettazione), e poi i tentativi di condizionare la politica locale e le complicità con cittadini insospettabili e imprenditori. Un romanzo criminale che, a leggere i numeri della sentenza, i giudici non hanno condiviso in tutto.
 
La sentenza è stata di condanna solo per una parte degli imputati. Ne sono venuti fuori ottantanove anni di carcere complessivi. Oltre a Savio, la condanna più severa è stata decisa per Massimo e Ciro Gallo, accusati di aver lavorato nelle piazze di spaccio del clan (rispettivamente 12 anni e mezzo e 10 anni di carcere) e Raffaele Pastore (10 anni e sei mesi di reclusione). Condannati anche Arcangelo e Raffaele Trongone, indicati come personaggi di spicco della mala del centro storico e referenti nella zona di Rua Catalana: per Arcangelo, difeso dall'avvocato Sergio Morra, i giudici hanno deciso 6 anni di carcere, tenendo conto della tesi difensiva su questioni procedurali e applicando la diminuente del rito abbreviato; per Raffaele Trongone la condanna è stata di 9 anni e sei mesi di reclusione. Spicca, tra i nomi degli imputati condannati, quello di Luigi Ussano, primario cardiologo coinvolto nella vicenda giudiziaria perché nel suo reparto, ad aprile 2010, fu ricoverato l'ex boss Marco Mariano che dalle intercettazioni dell'epoca appariva interessato a sfruttare le sue condizioni di salute per rimanere a Napoli e ritardare il rientro nella casa lavoro di Sulmona. Il professionista si è sempre difeso sostenendo di aver trattato quel paziente come tutti gli altri: appare scontato il ricorso in Appello. Un altro insospettabile finito sotto accusa è Mario Iuliucci, imprenditore nel settore dei videopoker a cui veniva contestata la partecipazione all'associazione di stampo camorristico come responsabile, per conto del clan, delle macchinette imposte a locali commerciali e agenzie di scommesse in tutta la zona dei Quartieri Spagnoli: difeso dall'avvocato Riccardo Ferone, l'imprenditore è stato assolto «per non aver commesso il fatto» e ha ottenuto la libertà dagli arresti domiciliari. Tra le assoluzioni spicca inoltre quella di Benedetto Ricci (difeso dall'avvocato Giuseppe De Gregorio): era accusato della rapina alla gioielleria Monetti in via dei Mille, un colpo da 180mila euro messo a segno il 25 febbraio del 2010 con la tecnica del buco. E poi le assoluzioni del boss Gennaro Ricci, esponente di un clan di giovanissimi emergenti nella zona del centro storico e attualmente in carcere per scontare una condanna per omicidio, e di suo padre Enrico: difesi dall'avvocato Leopoldo Perone, sono stati assolti dall'accusa di aver gestito armi per conto del clan Mariano. Tra gli assolti c'è anche Carmine Furgiero, detto «o pop» e salito alle cronache per la piscina artigianale realizzata tra i vicoli per permettere ai bambini della zona di fare il bagno d'estate: nel processo era accusato di aver partecipato all'organizzazione della piazza di spaccio al vico canale a Taverna Penta, ai Quartieri Spagnoli, e di aver fatto da sentinella nel suo rione per conto del clan. Difeso dagli avvocati Antonio Rizzo e Perone, i giudici lo hanno mandato assolto «per non aver commesso il fatto».
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