Appalti, tangenti al Comune di Napoli: «Le gare truccate in garage»

Appalti, tangenti al Comune di Napoli: «Le gare truccate in garage»
di Leandro Del Gaudio
Lunedì 22 Novembre 2021, 23:30 - Ultimo agg. 23 Novembre, 21:34
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Le buste le aprivano il giorno prima, all’interno del garage di un dipendente comunale. E venivano alterate le offerte, in modo da garantire la vittoria dell’appalto sempre allo stesso gruppo di imprenditori. Gente che - secondo l’ipotesi dell’accusa - sapeva stare al mondo e “retrocedeva” soldi in cambio di favori: tangenti in cambio di “soffiate”, magari in vista di un intervento che rendeva blindato, a senso unico, la vittoria della procedura di appalto. Si lavora così, all’ombra del Comune di Napoli, a sentire tre imprenditori che per anni sono stati impegnati nel campo della bonifica ambientale, intervenendo nella riqualificazione di ex strutture industriali o in complessi edilizi intossicati da amianto. 

Parola, tra gli altri, di Salvatore Abbate, uno che è finito in manette un anno fa nel corso dell’inchiesta sulla Sma Campania (la bonifica dei fanghi dei depuratori industriali di Napoli est), ma anche di altri due parenti che in queste settimane hanno deciso di vuotare il sacco e aprire così un nuovo filone, quello che sposta l’attenzione sul Comune di Napoli.

O meglio: sulla gestione di alcune gare da parte di due dipendenti di Palazzo San Giacomo (uno di questi in pensione) che avrebbero assicurato sempre alla stessa cordata di imprenditori la certezza di un appalto facile.

Sei le gare finite nel mirino della Procura di Napoli, che in questi giorni ha deciso di firmare blitz a sorpresa: sono stati notificati decreti di perquisizione a carico, tra gli altri, di una ex funzionaria del Comune di Napoli che oggi risulta in pensione, in uno scenario per il quale viene coinvolto anche un altro dipendente degli uffici comunali. Un sequestro probatorio che venerdì è stato confermato dal Tribunale del Riesame di Napoli, (ottava sezione collegio F) alla luce della possibile convergenza delle dichiarazioni di ben tre imprenditori, oltre a Salvatore Abbate, anche altri due manager. Gravissime le accuse al vaglio della magistratura: in cambio di manomissioni di procedure di appalto sarebbero state versate tangenti fino a 30mila euro nelle mani dei soggetti pubblici al momento finiti sotto i riflettori della Procura. Inchiesta condotta dai pm Ivana Fulco e Henry John Woodcock, ipotesi di corruzione, la finanza in campo. Al setaccio i computer sequestrati in casa dell’ex funzionario pubblico in pensione, mentre l’attenzione si sposta su conti correnti e possibili triangolazioni economiche. 

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Ma quali sono gli appalti finiti nel mirino della Procura di Napoli. Sono sei le gare sotto inchiesta, che vanno dal 2014 al 2020, riguardano capitoli di spesa impegnativi (anche appalti da 800mila euro alla volta), che sarebbero stati veicolati sempre usando due canali blindati. Quali? La procedura negoziata, a trattativa diretta, che non prevede un’asta pubblica; l’apertura delle buste, per verificare le offerte della concorrenza e definire soluzioni blindate, a prova di ricorsi. In una occasione - si legge negli atti depositati al Riesame - oltre ottanta buste sarebbero state aperte per consentire al gruppo Abbate di sbaragliare il campo costituito da competitor europei, ma anche di scongiurare eventuali ricorsi. Oltre ottanta buste in una notte - la notte napoletana in cui tutte le buste vengono aperte - a casa di un dipendente comunale: o meglio, nel garage di casa dove si sarebbero regolati i conti (a colpi di mazzette) prima delle aperture formali delle gare. 

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