Ridussero connazionali in schiavitù: condannati bengalesi, prima storica sentenza dopo la ribellione degli operai clandestini

Ridussero connazionali in schiavitù: condannati bengalesi, prima storica sentenza dopo la ribellione degli operai clandestini
di Marco Di Caterino
Mercoledì 12 Luglio 2017, 13:50
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SANT'ANTIMO - Sentenza storica contro una delle forme più brutali del caporalato. Per la prima volta in Italia,  sono stati condannati a pesanti pene,  responsabili del cosidetto Schiavismo lavorativo. La sentenza, emessa da Rosa De Ruggiero, giudice dell’udienza preliminare dal tribunale penale di Napoli, ha riconosciuto la responsabilità dei cinque imputati, per tutti i capi di imputazione:  associazione a delinquere finalizzata al grave sfruttamento lavorativo e al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, con l’aggravante del reato transnazionale.

Gli imputati  Sheik Mohammed Alim, ritenuto il dell’organizzazione dei caporali bengalesi, condannato a 8 anni, insieme a Popy Kathun, Moniruzzam Tipu, Sheik Akbar e Mohammad Aziz, condannati a  pene variabili tra i 6 e i 5 anni, avevano di fatto «schiavizzato» quindici connazionali, che per venire in Italia, con la promessa di un  buon lavoro ben pagato, avevano sborsato tra i 10 e 15 mila euro.  E così 15 bengalesi, insieme a molti altri connazionali, furono in realtà segregati con violenza e ridotti in una condizione di semischiavitù in alcuni capannoni tra Sant’Antimo e Casandrino.

I passaporti furono sequestrati da Alim mentre i giovani immigrati venivano pagati circa 300 euro al mese per giornate lavorative di 17-18 ore al giorno, sabato e domenica inclusi, dalle 7.30 alle 14 o alle 19 con le porte chiuse a chiave dall’esterno. Uno spaccato di schiavitù dietro la nostra porta di casa, a Sant’Antimo, dove ancora oggi si susseguono sequestri di sartorie clandestine che lavorano anche per griffes nazionali e internazionali.

Lo scandalo venne fuori grazie all’Associazione antirazzista e interetnica 3 Febbraio, attraverso la quale gli operai trovarono il coraggio di denunciare gli sfruttatori che furono poi arrestati mentre le fabbriche furono poste sotto sequestro. Oggi la storica sentenza che oltre a  comminare pesanti pene detentive ha anche imposto agli imputati il pagamento di centinaia di migliaia di euro di multe, oltre che al risarcimento dei denuncianti e al pagamento delle spese legali e processuali.  

«È questo il risultato di una lotta di diversi anni, che ha visto coinvolta in prima fila il meglio della gente solidale e antirazzista di questo Paese», dicono quelli del 3 Febbraio, che ha promosso e sostenuto insieme ai lavoratori bengalesi un fronte solidale ampio. Dal prof Pasquale de Sena, ispiratore e coordinatore dell'intero progetto di difesa legale, agli avvocati Bruno Botti e Benedetta Piola Caselli con Pierluigi Umbriano, insieme agli avvocati dell’ASGI Amarilda Lici e Alessandro Del Piano.

Alla battaglia legale, inseritasi in un percorso di lotta e di impegno quotidiano, si sono uniti docenti universitari solidali, giornalisti attenti al fenomeno, associazioni; la gente solidale di Sant’Antimo  e di altre parti d’Italia e del mondo: dal Bangladesh alla Germania, dall'incontro in Vaticano con il Papa agli innumerevoli gesti di sostegno avuti da genti di tanti paesi immigrati qui. «Questa sentenza – sostengono gli attivisti di Tre Febbraio -  è molto importante, a più livelli. È un primo passo, fondamentale, per vincere la schiavitù che vige ed è tollerata nell'Italia democratica».
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