Conducenti senza i nuovi biglietti:
a Napoli flop vendite sui bus

Conducenti senza i nuovi biglietti: a Napoli flop vendite sui bus
di Davide Cerbone
Giovedì 21 Dicembre 2017, 11:12
5 Minuti di Lettura
Un po' l'autobus, un po' le suole: il servizio integrato di trasporto a Napoli si fa così, a cavallo di questa forzosa alternanza tra le ruote e le scarpe. Ché, in fondo, sempre di gomma si tratta. Se sei in centro e vuoi arrivare al mare, del resto, non c'è altro mezzo che il bus, a parte i taxi. E i piedi, per l'appunto. E a piedi, se parti da piazza del Gesù, devi raggiungere la fermata più vicina. Si fa per dire: quella di via Monteoliveto, infatti, è stata inglobata e cassata da uno dei tanti cantieri infiniti.

Così ti tocca percorrere a piedi tutta via Medina fino a raggiungere il punto in cui sfocia su piazza Municipio. Raggiunta la meta, ad oscurarla trovi un camion di una ditta di trasporti. Poco male, pensi: le panchine di metallo sono desolatamente vuote, a rappresentare più d'ogni parola la disperanza di un popolo che ha smesso di credere nei miracoli. Almeno: in certi miracoli. Per oltre venticinque minuti i soli autobus che ti sfilano davanti sono privati. Dei giganti arancioni, all'orizzonte, nemmeno l'ombra. Un bus che si chiama desiderio. Ma sarebbe meglio dire «miraggio». A suggellare questa dimensione dell'imponderabile, un chiaro segnale di resa: la tabella elettronica che dovrebbe riportare i tempi di attesa non c'è.

«Altro che biglietto a bordo, questi dovrebbero preoccuparsi di far passare i mezzi», lamenta Augusto Casale, professore di matematica in pensione, mentre monta sul sospirato bus. Non il C25 che aspettava, ma un R2 sul quale, suo malgrado, decide di ripiegare. «Dovete andare sul lungomare? Con questo potete scendere a piazza Trieste e Trento e ve la fate un po' a piedi», suggerisce pratico il conducente, confessando che lui no, i biglietti da vendere non li ha ritirati. E come lui tanti altri colleghi.
 

Già, a piedi. Sempre la solita, incrollabile certezza: le gambe. Fino a quando reggono, s'intende. «Io e mia moglie stiamo alla fermata da mezz'ora fermi al gelo, rischiamo di diventare dei ghiaccioli», continua Augusto, ottant'anni portati con leggerezza. La signora Annalisa lo interrompe: «Certo, non fare il biglietto è da disonesti. Ma non è disonesto anche trattare gli utenti che pagano in questo modo?», domanda.

Di fronte a tanta inaffidabilità, Luisa Molea, impiegata, si è organizzata di conseguenza. «Vado a prendere la Cumana, che ci mette venti minuti ad arrivare, ma almeno passa. Oppure cerco di rimediare qualche passaggio», confida. «Il biglietto a bordo? Se vogliamo prenderci in giro, facciamolo pure. A Londra si può fare: i bus passano spesso, i cittadini sono educati e le file ordinate. Qui non voglio neanche immaginare quali resse ci sarebbero dopo le attese infinite alle quali siamo abituati. L'ultima volta che ho preso un pullman ho aspettato un'ora». L'immagine della calca per comprare il titolo di viaggio, tuttavia, non è più di un'ipotesi di scuola. «Qui nessuno timbra, c'è poco da fare. Il servizio è pietoso, e si sentono autorizzati ad evadere». Del resto, recita l'adagio, «'ccà nisciuno è fesso». E a pagare per avvilirsi (e congelarsi) un po' fessi ci si sente.

 


Natalia viene dall'Ucraina, ha 36 anni e gli ultimi dodici li ha vissuti a Napoli. «A Kiev, la mia città, i bus passano ogni due minuti. Qui, invece, è una sofferenza». Marco Pompei, 45 anni, venti passati a guidare i pullman cittadini, confessa: «Ho qualche biglietto, ma da stamattina non ne ho venduto neanche uno. La gente non lo sa, e d'altra parte per noi è un lavoro doppio. Per 14 centesimi in più a tagliando - dice -non ne vale proprio la pena».
Che il primo giorno del biglietto a bordo è un flop lo capisci continuando a girare per il centro. In molti tra i conducenti si sono rifiutati di andare a ritirare i ticket fuori dall'orario di lavoro e soltanto qualche turista chiede di acquistare il biglietto a bordo. Giovanni Imbellone, 44 anni, fa l'autista da vent'anni ed ha le idee chiare: «Si è partiti tardi con la distribuzione, così gran parte di noi non ha i tagliandi a bordo. In più, non ci hanno fornito un tesserino di polizia amministrativa che ci legittimi a chiedere il biglietto, ci costringono a ritirare i ticket fuori orario di lavoro e a maneggiare i soldi degli incassi. Rischi e disagi per i quali non ci viene riconosciuta alcuna indennità. Si sono accorti solo oggi che i nostri introiti li facciamo con i biglietti?», prosegue Imbellone.
«Bene, meglio tardi che mai. Ma almeno si facciano le cose con criterio, in modo che riescano». E mentre con lo sterzo si districa nel traffico di via Marina, coi pensieri fa lo slalom tra la rabbia e la preoccupazione: «Ci sono duemila famiglie in bilico che aspettano di capire che fine faremo. L'Anm sta fallendo e non si sa per colpa di chi, intanto i dirigenti che avrebbero dovuto far funzionare l'azienda per anni hanno preso stipendi d'oro», si indigna.
Francesco Carola lavora per una compagnia di navigazione ed è un utente fedelissimo dell'Anm: «Ancora con questi biglietti cartacei? In tutte le città del mondo ci sono card e lettori magnetici. Le tecnologie esistono, ma noi siamo rimasti fermi a trent'anni fa. Mia moglie - continua - viene dal Giappone: lì devi pagare per forza, perché c'è solo l'ingresso davanti all'autista. Se non passi sul lettore la tessera prepagata o non compri il biglietto alle macchinette installate a bordo, nel bus non entri».
A queste latitudini le cose stanno diversamente, e un bus alla fermata è come un pozzo nel deserto. Così, l'antica arte di arrangiarsi diventa un esercizio obbligatorio. Una virtù che si sviluppa e si affina per necessità. In alcuni casi, per disperazione. Il signor Salvatore De Simone ha i capelli bianchi e abita a Monte di Dio. «Quando ero ragazzo, a bordo c'era il bigliettaio - ricorda -. Il biglietto a bordo? Può funzionare, ma ad una condizione: che l'autista apra soltanto le porte davanti», osserva. Ma quando nella penombra della sera compare una sagoma arancione, si ferma: «Mi scusi - taglia corto con garbo -: aspetto da quaranta minuti l'E6, ho perso le speranze. Prendo quest'altro e me la faccio a piedi. Altrimenti a casa non ci arrivo più».
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