Commercio, il Sud tiene grazie al boom turistico: «Ma in dieci anni chiusi 100 mila negozi»

Calano sempre più i negozi in sede fissa e aumentano quelli di servizi e tecnologia

Commercio, il Sud tiene grazie al boom turistico
Commercio, il Sud tiene grazie al boom turistico
di Nando Santonastaso
Martedì 28 Febbraio 2023, 07:00 - Ultimo agg. 1 Marzo, 06:47
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Più Bed and Breakfast che nuovi alberghi. Ma al Sud è comunque il rimbalzo del turismo che fa notizia nel giorno in cui Confcommercio rende noti i dati della demografia d'impresa nelle 120 medie città italiane, confermando che in dieci anni hanno chiuso in tutta Italia ben 100mila negozi (più 16mila attività ambulanti). Se il rischio di desertificazione commerciale è piuttosto evidente; se - come appare dal lavoro dell'Ufficio studi diretto da Mariano Bella - è nei centri storici che calano in maniera sempre più cospicua i negozi in sede fissa (libri e giocattoli -31,5%, mobili e ferramenta -30,5%, abbigliamento -21,8%) e aumentano invece quelli di servizi e tecnologia (farmacie +12,6%, computer e telefonia +10,8%); è però la spinta proveniente soprattutto dal Mezzogiorno delle attività di alloggio e di ristorazione (cresciute rispettivamente del 43% e del 4%) a imporsi all'attenzione. Non sono dati tali «da compensare le riduzioni del commercio» ma nemmeno trascurabili visto che contribuiscono a «modificare in misura rilevante le caratteristiche dell'offerta nelle città e nell'economia in generale», dice il Rapporto. E spiega: «Nel lungo periodo (2012-2022) appaiono più accentuate tanto le perdite dei centri storici per i negozi e gli ambulanti, quanto la crescita dell'offerta turistica. Se però la distinzione viene declinata per grandi ripartizioni geografiche, emerge che il Sud è caratterizzato da una maggiore vivacità commerciale in generale. Tanto maggiore, rispetto al Nord e al Centro, da suggerire qualche caratteristica di disordine nel processo di sviluppo e cambiamento dell'offerta commerciale in generale proprio nel Sud, cosa che emerge in modo lampante confrontando le variazioni della numerosità di servizi alberghieri, bar e ristoranti nelle due macro-ripartizioni considerate, fenomeno che, peraltro, è presente tanto nel centro storico quanto nella periferia delle città analizzate». 

Non era un dato scontato né smentisce studi e analisi precedenti sulla delicata situazione del settore, come quello diffuso circa un mese fa da Confesercenti.

E ha sicuramente ragione Bella quando osserva che «la maggiore rapidità dell'offerta di alberghi e pubblici esercizi del Mezzogiorno è più figlia della rendita che non di investimenti». Ma rapportato alla tipologia del sistema produttivo meridionale il dato assume un rilievo non secondario, specie se accompagnato da quello relativo ai consumi, il principale indicatore dello stato complessivo dell'economia meridionale: a gennaio 2023, come emerge dal monitoraggio mensile di Confimprese e Jakala, l'unica macroarea ad avere registrato il segno positivo rispetto allo stesso mese del 2019, dunque al periodo pre-Covid, era proprio il Sud, con picchi significativi nella ristorazione (+10%). «È evidente che le grandi crescite dei servizi turistici sono trainate dalle altre forme di alloggio», scrive Confcommercio, riferendosi appunto alla proliferazione dei B&B. Ma rispetto alle previsioni del 2022, il boom dei flussi turistici che si riteneva limitato alla sola stagione estiva si è invece spalmato anche sui mesi successivi, complice la clemenza delle condizioni atmosferiche, rendendo almeno in parte meno traumatico il tremendo impatto dell'inflazione. «La verità insiste Bella è che poteva andare anche peggio, molto peggio, al commercio italiano dopo la crisi finanziaria del 2012, la pandemia, la guerra e l'aumento del costo della vita. Si rischiava di assistere alla chiusura del 50% dei negozi. I nostri dati dimostrano che, nonostante tutto, il settore ha saputo invece reagire anche se le percentuali che arrivano anche al 32% di punti vendita fissi in meno nei centri storici di molte città non possono che preoccuparci».

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I dati provinciali dell'analisi di Confcommercio, del resto, parlano da soli. In Campania, ad esempio, mentre a Napoli il commercio al dettaglio si è mantenuto stabile, con circa 30.000 esercizi attivi (anche in virtù del boom turistico della città), negli altri principali centri urbani tra il 2012 ed il 2022 una percentuale oscillante tra il 10 ed il 20% degli esercizi commerciali ha chiuso definitivamente. A Salerno in 10 anni hanno chiuso 71 negozi su 300 nel centro storico, e 400 su 1900 nel resto della città; a Caserta si è passati da 1081 esercizi aperti nel 2012 (di cui 521 nel centro storico) a 927 nel 2022 (462 nel centro storico). Drammatico il calo di Avellino, dove si passa dai 862 negozi del 2012 ai 711 del 2022. Meno marcato il dato di Benevento, da 784 negozi nel 2012 a 705 nel 2022. Dice il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli: «La desertificazione commerciale non riguarda solo le imprese, ma la società nel suo complesso perché significa meno servizi, vivibilità e sicurezza. Occorre accelerare la riqualificazione urbana con un utilizzo più ampio e selettivo dei fondi europei del Pnrr e il coinvolgimento delle parti sociali». 

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