Ettore e Rossella escono dal ristorante di via Partenope con due bimbe che strattonano perché vogliono correre a vedere il mare. L'ora solare ha portato presto il buio sulla città, entrare alle 19.30 e uscire un'ora dopo sembra normale. «Da domani non potremo più farlo? - è Rossella a rispondere per la famiglia - sarà un dispiacere grande. In effetti oggi non era in programma la cena fuori, ma ci siamo detti che era l'ultima possibilità chissà per quanto tempo».
A dire la verità la grande paura del virus ha anticipato il decreto del presidente Conte, a cena nei ristoranti della città, già da qualche giorno ci sono meno persone.
Sul lungomare comunque un po' di gente c'è. Il resto della città invece fa già i conti con la paura della pandemia sicché l'ultima cena prima della chiusura alle 18 diventa un rito di tristezza.
Al Centro Storico non c'è nemmeno un passante. I pochi ragazzi stanno accalcati ai locali prima di mollare all'ora del prime time televisivo, orari impensabili per il popolo della Movida. Il senso della definitiva sconfitta, però, lo percepisci a Forcella.
Da Michele a via Sersale ci sono quattro persone, ne entreranno in seguito altre sei e la serata sarà finita qui. Musi lunghi, tentativo di spiegare che così non si va avanti, che il delivery è un pannicello caldo. Esci e scopri che sul marciapiede di fronte la pizzeria D'Angeli è desolatamente vuota, non c'è bisogno di spiare dietro i vetri per capirlo: davanti all'ingresso c'è tutto il personale, camerieri, cuochi, pizzaiolo, aspettano clienti che oggi saranno pochi e da domani non ci saranno più. Provare a entrare nel mondo disperato e complesso di quel microcosmo di ristorazione è impresa difficile, ciascuno ha la sua idea, tutti, a turno, chiedono cosa accadrà anche se sanno che una risposta non c'è. Anzi, forse quella risposta già ce l'hanno: «Ci siamo già accordati per i turni dei prossimi giorni. Di sera non verrà quasi nessuno, solo i pochi per il delivery - spiega un giovane cameriere che ha occhi spauriti - sai che significa? Che guadagneremo meno della metà... e come si va avanti?».
Il resto della chiacchierata con tutto il gruppo che non ha clienti da servire, è un percorso sul toboga che sale verso la preoccupazione del futuro e precipita verso la rabbia negazionista su un virus che «ormai non fa più paura a nessuno, serve solo a metterci in ginocchio». E hai voglia a cercare di spiegare che le persone in terapia intensiva aumentano ogni giorno: loro pensano che c'è una grande macchinazione per mettere in ginocchio la ristorazione. «O forse - dice il cameriere con i capelli bianchi - ci stanno solo fregando perché chiudendoci solo la sera non devono darci soldi per campare».
Il presidente della Fipe e titolare di Umberto, Massimo Di Porzio, sussurra il dolore di tutti i ristoratori di Napoli e annuncia battaglia: «Potremmo tentare la via di un ricorso amministrativo. Domattina decideremo cosa fare».